Genghis Tron
Dream Weapon

2021, Relapse Records
Experimental/Post Metal

Dopo un vuoto di 13 anni, i Genghis Tron mettono a punto la loro "Dream Weapon": l'attesissimo terzo full length della band è destinato a dividere i vecchi seguaci.
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 28/03/21

Eccoci ad uno dei lavori più attesi di quest'anno. Perché e da chi? Ai meno avvezzi urge qualche specifica: Genghis Tron è il precipitato musicale da una miscela altamente instabile di grind metal ed elettronica, che sfidava, nonché generi ritenuti irriducibili l'uno all'altro, ogni spiegazione razionale. L'EP "Cloak Of Love" è un vero e proprio terremoto nel mondo musicale del 2005: elettronica, glitch, grind, post hardcore si amalgamano con furia e miracolosa sapienza. La stampa di settore lo elogia come una pietra miliare. Non contenti di metter sossopra il mondo della musica estrema, i Genghis Tron il loro debutto ufficiale lo fanno nel 2006 con "Dead Mountain Mouth", prodotto dal chitarrista dei Converge Kurt Ballou. Dopo un intenso periodo di tour con band del calibro di Dillinger Escape Plan e Baroness, la filosofia creativa dell'act si dispiega: nasce così "Board Up The House" uno degli album di musica estrema più importanti del nuovo millennio. Nel 2008, alla sua uscita, l'underground - non solo metal o elettronico - impazzisce: cumuli di recensioni entusiastiche, album dell'anno per la stampa musicale inglese, guest appearence di Greg Puciato dei Dillinger Escape Plan; lo cita persino il New York Times nella sezione "scelti della critica". Lo stesso trionfale anno, i nostri collaborano con i Converge al capolavoro "Wretched World", traccia conclusiva dell'album del 2009 "Axe To Fall". Sono passati 13 anni da "Board Up The House", poco più di quaranta minuti di musica talmente dirompenti nel panorama di allora, che gli furono dedicati cinque - dicesi cinque - album di remix, che vantano nomi come Justin Broadrick, gli Ulver e Danny Lohner. Da allora un'ibridazione così riuscita ed audace non fu più eguagliata. Alla fine del 2010, al culmine della gloria, i Genghis Tron si sono però improvvisamente silenziati.

 

Liricamente e concettualmente, "Dream Weapon" riprende un discorso interrotto con "Board Up The House".  «La traccia di chiusura di quell'album, "Relief ", parlava di come gli esseri umani siano diventati un peso per il pianeta e come la Terra durerà a lungo dopo che ce ne saremo andati », spiega Jordan. «"Dream Weapon" è, nel suo complesso, una meditazione che approfondisce lo stesso tema». Con l'ex cantante Mookie Singerman fuori dal progetto, ci sono i membri fondatori Hamilton Jordan e Michael Sochynsky insieme a Tony Wolski e al batterista Nick Yacyshyn. "Dream Weapon" è destinato però ad essere divisivo, date le probabili aspettative di chi lo attendeva da quasi un lustro. Sì, perché i Genghis Tron hanno dato una decisa sterzata verso l'elettronica da un lato e la new psich dall'altro, che rischia di spiazzare non poco chi da quest'album sia spettava un'esplosione grind metal punteggiata di elettronica. Così non è. Abbandonata la via della nevrosi, adesso la band sembra decisa a percorrere quella - non meno seducente - dell'ipnosi. Inevitabile che una scelta così radicale deluda buona parte del seguito storico del combo: delusione che accomunerà il destino di questo album a quello di altre recenti e spiazzanti svolte; pensiamo a Steven Wilson che abbandona il prog, lasciando impietriti i fan storici, o all'evoluzione degli Ulver. Occorre però non farsi trarre in inganno dalla propria aspettativa (delusa): l'album è tutt'altro che sciapo e una scelta apparentemente di comodo può rivelarsi più coraggiosa del previsto. «Non credo che ci si sia approcciati a "Dream Weapon" in modo differente dai lavori precedenti», spiega Jordan. «Michael e io impieghiamo anni per scrivere e scambiare demo, con circa l'80% delle nostre idee che finiscono sul pavimento della sala taglio. Una volta che abbiamo un'idea approssimativa che piace ad entrambi, scriviamo dozzine di bozze nel corso di mesi prima di chiudere una demo definitiva». A causa della pandemia, "Dream Weapon" è stato inciso in distanziamento da varie località del nord America. Yacyshyn ha registrato la sua batteria alla Rain City Records di Vancouver con JJ Heath. Wolski ha registrato le voci a casa a Detroit, e poi Ben Chisolm (Chelsea Wolfe) l'ha prodotta. Allo stesso modo, Sochynsky ha lavorato da casa e successivamente lui e Jordan si sono trasferiti al Godcity Studio di Salem per incidere le chitarre e mixare l'album, prodotto ancora da Kurt Ballou. «È stata una sfida scrivere e registrare così tanto dell'album da remoto», dice Jordan. «Ma ci ha costretti a essere particolarmente minuziosi nel'assemblare il tutto e nel curare i passaggi».

 

Superata la sopresa iniziale, calati nel profondo del disco, non riusciamo però a non farci sedurre dall'abilità con cui la rediviva band ha inanellato le tracce del lavoro e innovato il proprio sound. «Penso che una differenza nel nostro approccio per questo album sia stata una riflessione radicale sul tipo di atmosfera che volevamo creare», aggiunge Sochynsky. «Qualcosa di coeso, meditativo e ipnotico». Anzitutto, ciò che la band ha perso in aggressività sembra averlo acquisito nell'adagiare su complicate partiture ritmiche una scrittura lunare, come nella suggestiva opener "Pyrocene", che sostanzialmente si sviluppa in una continua variazione su una sequenza di pochi accordi. Il viaggio è orizzontale, non verticale: nulla a che vedere col new prog. Se la band prima costruiva la propria efficacia sulla giustapposizione dei generi, ora punta all'amalgama. "Pyrocene" è non troppo sorprendentemente costruita su una struttura ternaria che ricorda "Board Up The House". Cambia però del tutto il paesaggio sonoro: non più rutilante deflagrazione ma, appunto, lenta espansione. La title track segna il distacco definitivo dal sound dei precedenti lavori ed è brano in cui domina una ritmica congestionata volta però, ancora una volta, ad una dinamica espansiva e non contrattiva. La band sembra amare ora come un tempo le ripetizioni ossessive, ma il grind è ormai cosa remota. Più che ad una esplosione il concept rimanda ad una costruzione di tipo onirico, come gli edifici astrusi e impossibili che, inventandoli, attraversiamo nei sogni notturni. L'album/edificio è costruito soprattutto su 4 brani/pilastri: l'opener e la title track sono i primi due; poi ci sono "Ritual Circle" e la conclusiva "Great Mother", entrambe costruite come ventagli o fiori sonori che schiudono gradualmente i loro petali per poi soavemente richiuderli. Brani insolitamente lunghi rispetto alla spesso violenta brevità dei lavori precedenti, segno anche questo di un'evoluzione dall'intensivo all'estensivo. "Alone In The Heart Of Light" è il diario di bordo di un estatico viaggio siderale: new psych ibridata con l'elettronica, con un abile e ipnagogico intreccio vocale. Anche in questo brano come nell'opener c'è una lunga coda, una delle cifre ancora riconoscibili rispetto al passato. D'altro canto, la band tende sempre più a neutralizzare i passaggi tra le parti della tradizionale forma canzone e l'orecchio si sforza di scernere dal tutto le singole suggestioni.

 

Il titolo dell'album è poi aperto all'interpretazione e proviene da un testo del gruppo sperimentale inglese Coil. «I Coil sono sempre stati una grande fonte di ispirazione per noi», spiega Sochynsky. «C'è una loro canzone in cui John Balance annuncia che o ra è il momento di lanciare l'arma dei sogni». "Dream Weapon" può ovviamente significare qualsiasi cosa, ma a noi piace immaginarlo come un misterioso ordigno, unico nel suo genere, che aspetta solo di essere raccolto. E una volta fatto, non si torna indietro.





1. Exit Perfect Mind
2. Pyrocene
3. Dream Weapon
4. Desert Stairs
5. Alone In The Heart Of Light
6. Ritual Circle
7. Single Black Point
8. Great Mother

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