Germogliati in seguito alla morte nel gennaio del 2017 di John Wetton, vocalist e bassista fondatore della band Asia, i Dukes Of The Orient non sono altro che la creatura di John Payne, singer della formazione inglese per quindici anni, e del tastierista Erik Norlander. Entrambi membri di Asia Featuring John Payne, formazione nata in risposta alla reunion della line-up originale del superguppo prog britannico nel 2006, i due musicisti, in segno di rispetto per il defunto ex componente dei King Crimson, decidono di abbandonare del tutto il moniker primitivo scegliendo di ripartire con un act nuovo di zecca e un album di inediti dal titolo eponimo. Accompagnati da Jeff Kollman, Guthrie Govan, Moni Scaria e Bruce Bouillet alle chitarre e da Jay Schellen alla batteria, il duo presenta un lavoro registrato in tre studi diversi, prodotto a regola d'arte e appartenente alla tradizione progressive e AOR oriented, ove equilibrio, smalto e perfezione formale la fanno da padrone: un sound alieno da spigolosità, di certo efficace e ad alta digeribilità pop.
Il disco si apre con le timbriche calde e melodrammatiche di "Brother in Arms", traccia provvista di un refrain estremamente catchy e segnata da vibrazioni vicine all'aura di "Separate Ways (Worlds Apart)", storico pezzo a firma Journey. Simili sfarfallii e increspature si ravvisano nelle pieghe della mid-tempo "Strange Days", in cui l'accattivante gioco delle sei corde e il laccato interludio di tastiera dialogano a fiammate e in modo mai prepotente, mostrandosi altresì complementari al cristallino e poderoso marchio vocale di Payne. I Duchi divengono sentimentali e affettati invece con la successiva power ballad pianistica "Amor Vincit Omnia", mentre "Time Waits for No One" si basa su una gracilità romantica speziata da un rifferama in medesimo luogo limpido e pirotecnico.
L'ascoltatore viene poi cullato in un viaggio a tinte gospel lungo le strade della memoria attraverso le onde elegiache della cupa e piuttosto oscura "A Sorrow's Crown", nella quale le acrobatiche keys di Norlander citano Jonathan Cain e le atmosfere griffate Asia eighties version; e se il trionfo di synth di "Fourth Of July" tratteggia un'arena song celebrativa e ricca di fuochi d'artificio, il pump rock melodico di "Seasons Of Change" ricorda gli inni anthemici degli Scorpions più levigati. Tra armonie lussureggianti ed irresistibili ritmi quadrati, i nostri piazzano l'asso vincente con i dieci minuti dell'epica "Give Another Reason": intro acustica, paesaggio sonoro cinematografico e lento accumulo sinfonico in grado di trascorrere dalla freddezza al neon a un oriente soleggiato, intersecando flamenco e raffinatezza corale in un'espansione di crescente iridescenza.
Strutture ornate, arrangiamenti impeccabili e brani trasparenti: "Dukes Of The Orient" rappresenta al meglio un'opera rimasticata per un decennio e realizzata mescolando passione, esperienza e nostalgia. Nonostante si adornino di troppe piume luccicanti, Payne e Norlander confezionano indubbiamente un LP di classe, godibile e radiofonico, adatto agli stadi come alle pareti domestiche: le membrane timpaniche rendono sinceramente grazie.