Eliza Doolittle
In Your Hands

2014, Parlophone
Pop

Recensione di Paola Marzorati - Pubblicata in data: 06/02/14

"Cause if nobody hears that tree fall dow, does it make a sound? Am I even here if I'm alone?"

 

Un albero che cade, con uno schianto forte, di quelli che riecheggiano nell’aria e rompono il sottile equilibrio che faceva sentire tanto forti, lo spezzano, debole e fragile come uno strato di pellicola trasparente. E poi le radici, che nonostante tutto cercano di scavare ancora nella terra, per attecchire di nuovo e per ricominciare. “Se nessuno sente quell’albero cadere, fa almeno rumore?”. Il rumore di quell’albero è tutto qui, condensato in 13 tracce, racconti ciechi di una sconfitta e di una rinascita. La fine di una relazione, quella sensazione di sentirsi piccoli piccoli in un mondo così grande, un po’ persi; ma la convinzione che si possa credere ancora nell’amore e il desiderio di credere, almeno, nella bellezza della vita. Eliza Doolittle, cantautrice britannica venticinquenne, ci ha messo tutto questo nel suo secondo album, In Your Hands”, pubblicato in Italia il 28 gennaio.

 

Uno degli elementi di ispirazione principale è stata la rottura della sua prima vera relazione, ma non provate ad etichettarlo semplicemente come un album di canzoni d’amore. E’ un lavoro sfaccettato, divertente, che accosta arrangiamenti al pianoforte a suoni più jazz ed elettronici. Ma soprattutto sembra che, a distanza di tre anni dal suo album di esordio, Eliza abbia finalmente trovato la sua voce. Quella non le è mai mancata, ma non è mai emersa in modo così chiaro e forte come in questo ultimo album, in cui, messe da parte le pressioni per chi la voleva per forza di cose paragonare a Lilly Allen o a Amy Winehouse, Eliza sembra essere solo Eliza, una versione più spontanea e matura di sé, che non ha più bisogno di essere paragonata a nessuno, perché ora ha trovato uno stile del tutto personale, colorato ed eccentrico, ma allo stesso tempo semplice, di quella semplicità che è un po’ sinonimo di verità.

 

Il suo stile abita in tutti i pezzi, anche se non sempre riesce a renderli la propria casa. A pezzi ben riusciti, come Big When I Was Little, inno di tutti i ragazzi degli anni ‘90,No Man Can”, “Waste Of Time”, un brano R&B costruito sul pianoforte e la divertente Walking On Water si alternano brani in cui il vagone delle montagne russe emozionali raccontate nell’album sembra arrancare un po’, perdendo di slancio e spinta. Il pregio di questo album, tuttavia, sta proprio in questo: nell’essere la prova, non perfetta, non riuscita in tutti i pezzi, di una giovane artista che ha capito chi è e come esprimerlo. Che è convinta, come ci ha confessato in una nostra intervista, che "Se una canzone ha il poter di far star bene una persona, allora è una canzone tanto bella quanto una del tipo "Oh,no, sto morendo!". Ecco cosa fa questo album, nei suoi pezzi migliori: fa star bene, senza troppi perché, senza troppo impegno, perchè spesso una canzone dovrebbe fare solo questo: diradare le nuvole di una giornata grigia, iniziata con il piede sbagliato e finita ancora peggio, senza troppe pretese, senza prendersi troppo sul serio. Far venire voglia di alzare il volume, ballare impugnando una spazzola come microfono e dimenticarsi per un attimo di tutto il resto, farci sentire come quando eravamo bambini "che scattavano foto con una vecchia polaroid e ballavano al suono di una vecchia cassetta". 





01. Waste Of Time

02. Back Packing

03. Hush

04. Let It Rain

05. No Man Can 

06. Walking On Water

07. In Your Hands 

08. Checkmate 

09. Team Player

10. Make Up Sex

11. Don't Call It Love

12. Big When I Was Little

13. Euston Road

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