Gli italiani Elyne, provenienti dall'Emilia Romagna, da sempre florida fucina di talenti in ambito rock e dintorni, dopo il positivo "What Burns Inside" (2014), arrivano, con "Alibi", al loro secondo platter sulla lunga distanza, in virtù del quale il gruppo si inserisce pienamente all'interno di quel filone post-hardcore di matrice statunitense e britannica di cui si erano potuti ascoltare i primi vagiti nell'EP d'esordio "Syncretisme" (2012), ancorato tuttavia alla scena metalcore.
"Alibi" rappresenta un piccolo, eppure importante passo in avanti per la band ravennate in direzione di una proposta maggiormente mainstream, senza che questo significhi appiattimento o omogeneizzazione sonora. Protagonista di un alternative metal di ottima fattura ove il classico ondeggiare di rabbia e quiete, sofferenza e intimismo viene reso da un cantato in cui si avvicendano, senza strappi, un growl meno ferino rispetto al recente passato e una voce pulita maggiormente incisiva, il combo e migliora la padronanza degli strumenti, affinando una già buona tecnica di base. Sezione ritmica aggressiva e precisa, riff poderosi, cambi di tempo non banali, melodie e ritornelli catchy, aperture post-rock: se il lavoro precedente spesso combinava elementi prog e core con risultati non sempre felici, in "Alibi" la sperimentazione lascia spazio all'assestamento di un'identità ben definita.
Il trittico di apertura composto da "O.B.E.", "Empty Mirrors" e "Demons" catapulta l'ascoltatore nell'atmosfera generale dell'album: pezzi arrembanti e ben bilanciati nei quali le due anime dell'act si miscelano perfettamente, con un'armonica radiazione di fondo che accompagna l'energia sprigionata a vagonate. Melodia che in tutta la sua evidenza si fa strada nella strumentale "From Within", breve e agognata pausa di etereo e trasognante post-rock che ci culla tra riflessione e ardente malinconia, mentre "White Light Black Rain" e "Breathless", certo di discreta qualità, non aggiungono nulla di nuovo a quanto osservato finora, limitandosi a cavalcare gli stilemi di quanto prodotto nell'abbrivio iniziale. Sapori parzialmente nu metal nella struttura accompagnano "Broken Faith", dal forte groove e dal tiro travolgente, laddove "Wrong Nature", vero e proprio anthem, sintetizza, dal punto di vista sonoro e tematico, le caratteristiche peculiari del gruppo. "Sick", dall'avvio punkeggiante, sorprende per la sua freschezza; "Frames", invece, dalla rabbia avvolgente, si candida a pezzo più emozionante dell'album.
""Alibi" rappresenta il nostro miglior lavoro": non possiamo che annuire alle parole semplici ed efficaci del leader Daniele Faccani sulla bontà dello sforzo compiuto, a cui contribuisce una produzione di grande brillantezza e una cover che esemplifica al meglio il messaggio portante dei brani, un invito a vivere in modo autentico gettando via maschere e finzioni. Qualcosa va limato, momenti più fiacchi ogni tanto fanno capolino, i testi avrebbero funzionato meglio in un concept album, considerato il mood esistenziale che li pervade, ma complessivamente non possiamo che giudicare ottimo l'impegno dei cari compatrioti nel tracciare un percorso personale in una scena mondiale non di rado inflazionata e pericolosamente uniforme.