Tempo fa avevamo preso a cuore la causa di una Chelsea Wolfe, che con il suo “Pain is Beauty”, aveva dimostrato che la donna, quella che imbraccia una chitarra e canta, non ha bisogno di chissà quali movenze per farsi notare, certo non lo sgambettare continuo, caratteristica principale delle cantanti/immagine più o meno mainstream. Noi maschietti però siamo fatti così, che ci vogliamo fare, perché sfasciarsi ad argomentare qualcosa che riguarda un istinto animale, primordiale? Quando arrivano occasioni come questa però, veniamo attratti da tutt’altro che il puro scopo sessuale, in quei momenti a parlare è solo la musica. Se la stessa Del Rey, che con la sua nuova release ha dimostrato di non essere solo una bambola, ecco che arriva a farsi notare anche un'altra interessante realtà, quella dell’affascinante Emma Ruth Rundle.
Ai molti non esattamente sconosciuta vista la militanza in svariati progetti (Marriages, The Nocturnes, tra gli altri) tutti argomentati da un determinato peso artistico che la Nostra riporta –a differenza del frettoloso lavoro fatto con “Electric Guitar I”- in questo nuovo “Some Heavy Ocean”, uscito lo scorso maggio. Dieci tracce che rivestono uno stesso filo conduttore: una chitarra (ora acustica, ora elettrica) e la voce di Emma, che finisce per condurre arrangiamenti, se vogliamo semplici, mai scontati e soprafini nel loro componimento. E’ facile intendere che in alcune scelte la Nostra sia stata spudoratamente ispirata dall’usura degli album dei Cocteau Twins, ma tra l’ispirazione e la creazione di un qualcosa personale c’è parecchia strada da fare, ed ecco perché vi parliamo di Emma. Vi capiterà di notare che alcune volte è solo uno stuzzicare la chitarra, un riverbero leggero (“Run Forever”), un delay sinuoso, appena sfiorato. Altre volte invece farà capolino l’ombra di una già citata Wolfe (“Savage Saint”), seppur la credibilità della Nostra in quel frangente non venga minimamente sfiorata; a sentire l’incedere malinconico di una “Shadows Of My Name” ci si potrebbe quasi perdere, cosa che succede senza un’effettiva via di scampo nella delicatezza sovrannaturale di una “Haunted Houses”, intrappolata nella sua stessa maledizione, alla ricerca di un escamotage (“Don't say this house not haunted | This house so haunted, won't ever let go of me | Follow in dreaming, our bodies empty, touching the ceiling”).
“Some Heavy Ocean”, è l’inatteso banco di prova di una cantautrice che in due sole release ha dimostrato una versatilità musicale non proprio comune, quasi spiazzante nella sua chiarezza e agilità. Il punto forza dell’intero lavoro sta proprio in quella scorrevolezza che dimostra, infatti, che una melodia ben ricercata ed anche inattesa, alcune volte, può bastare per portare a casa un risultato più che soddisfacente, proprio il caso di Emma Ruth Rundle, entrata a far parte della folta schiera di musiciste che con la musica ci sanno fare davvero.