Eppure, nonostante questo, è difficile non farsi coinvolgere da brani come "Blut am Eisen", un pezzo così quadrato e teutonico da far sembrare i Rammstein una banda di giovinetti romantici latini, o da un monolite psicotico come "Stossfront", in cui ogni palm mute di chitarra è fonte di distorsioni e risonanze, creando un loop sgraziato e piacevolmente urtante. "Bunkerluft" è poi altro highlight del disco che raffigura alla perfezione terre aride ma funestate da un vento grigio immune ai pallidi spiragli di sole, per non parlare dell'opener "Jagen", brano che apre il disco con una forza d' impatto paragonabile a quella di un ceffone in pieno volto dato con un guanto di cemento armato il giorno del proprio compleanno.
La produzione è perfetta per il tipo di materiale ed efficace per i propositi della band: è arida, polverosa, distorta e caratterizzata da un suono sordo e secco della batteria, da chitarre granulose (spesso e volentieri in territori da feedback) e da una voce urlata e distorta.
Nonostante il colore mono-tinta dell'opera, ci sentiamo di consigliare "Endstrand" ai fan delle sonorità più dilatate e estreme. In una scena metal sempre più laccata, sintetica e tirata a lucido, ci sono ancora gruppi capaci di fare un buon lavoro riuscendo a condensare un messaggio tramite un minimalismo assoluto fatto semplicemente di mestiere, coordinate stilistiche definite e tante cattive intenzioni sonore.