Germ
Escape

2016, Prophecy Productions
Experimental Black Metal

Il terzo studio album di "Germ", progetto del polistrumentista australiano Tim Yatras, esprime il suo concetto fin dal titolo: "Escape"; e conferma uno stile che potremmo definire, con un pizzico di azzardo, puro "soul-soundscape" .
Recensione di Marco Migliorelli - Pubblicata in data: 28/05/16


 

Una "fuga" di paesaggi sonori, funambolicamente in bilico fra shoegaze e post-black metal, senza un centro preciso, o un vero e proprio genere di riferimento. Come nei lavori precedenti, la musica torna continuamente su se stessa per favorire la lentezza della meditazione, lo spirito di profonda introspezione cui mirano i testi. Testi che restano leggeri, nonostante il portato malinconico delle loro immagini, grazie ad un approccio musicale arioso, caldo, avvolgente, aggrappato alla vita come un grido, come un mattino radioso cui l'anima, consapevole del proprio viatico, si espone, fragile e caparbia insieme.
In equilibrio fra la cripticità straziante e melodica degli olandesi "An Autumn for crippled children" - coi loro vocalizzi estremi che nello screaming annegano l'intelligibilità dei testi-, e la dolcezza fragile e sognante dell'universo amniotico di "Alcest" -in cui la voce dipinge, anche quando grida e soffre-, questo solitario musicista australiano abbraccia per la terza volta il canto circolare dell'introspezione. Abbandonato lo spazio siderale che subito si stendeva come tela dei paradisi perduti nei quali rifugiarsi e smettere di dirsi "Io", -come nella bellissima "An overdose of cosmic galaxy", prima canzone del suo fulgido debut "Wish", la parola di Germ si affida ora al vento, la cui continuità nell'udito, così come nella capacità immaginativa dell'ascoltatore, è ben espressa da uno sfondo di chitarre ed elettronica nei quali la batteria si riscopre attutita: è ad esempio il finale di "The old dead tree" che sembra terminare lì dove la successiva, "The death of a blossming flower", inizia: arpeggio sognante, introduttivo e scoppio sordo, remoto, di batteria. Il brano più tirato del lotto.

 

I'll give myself to the wind
and maybe on that morning
I'll open my eyes and see brightness
for the first time.

 

It seems so easy to stop breathing
but with a laugh comes a breath and we live on
amongst all that is crashing down
if I hold out my hands will you give me the sunset?

 

"I'll give myself to the wind" è piena catarsi, mentre il cantato, lacerato fra scream tirato e vocalizzi profondi, sottolinea la suggestiva, implicita analogia, wind/breathing. Anche qui, come nella successiva, bellissima, "Under crimson skies", la cui voce filtrata tocca con la punta tremante di un dito i cieli di "Wish", essun suono è invasivo; tutto punta alla fusione. Lo screaming è remoto e ben si alterna a bagliori di voce piana: ma è come il lampo che precede il tuono, perchè "Escape" non è un disco lento.
"Escape" è semmai un disco circolare: la sua lentezza è data dalla ricorsività: dei riff come del drumming. Diversamente non potremmo nemmeno parlare (anche solo) di post black metal. "The death of a blossoming flower", è la prova di quanto appena detto. Coi suoi 8 minuti si ritaglia uno spicchio significativo nel finale del disco in un crescendo pathico il cui drama conclusivo, atto finale, sarà nella breve e lenta "Closer", i cui arpeggi iniziali paiono omaggiare, timidamente, gli Agalloch. Il brano ci offre anche uno spunto per uno sguardo più ampio sull'album, che sembra puntare su una prima parte più smussata ed emotivamente meno intensa, per poi crescere esponenzialmente nella seconda metà, inanellando una serie di brani efficaci i quali esprimono, ora sì al massimo, la poetica esistenziale di questo artista, nelle cui composizioni la nota si allunga per lasciare più spazio, più ossigeno alla parola-emozione-immagine. Dilatazione, altra parola chiave delle composizioni di Germ , d'accesso alla sua poetica.
Un ultimo confronto interessante ce lo donano sempre questi due ultimi brani. Protagonista è la voce. Sfuggente, rabbiosa nel suo darsi per marosi assordati dal resto degli strumenti in "The death of a blossoming Flower"; piana, sofferta, dolce e decisa in "Closer". Difficilmente intelligibile nella prima canzone (non è l'unico episodio), più chiara e diretta, comprensibile nel secondo brano. Questo perchè la voce non si pone passivamente in relazione ai testi. Alcune volte l'emozione viene sospinta dal puro suono: la voce è strumento totale di suono, appunto.
Altrove invece, l'emozione si riversa nella chiara percezione del significato delle parole, ora intelligibili. Un apprezzabile gioco di chiaroscuri, importante in un lavoro che si affida alla creazione di paesaggi sonori, piuttosto che strutture complesse.
"Escape" è un viaggio dell'anima. Ogni canzone goccia, che cadendo, si completa nel riverbero continuo, concentrico, dato dal suo impatto con la superficie mobile della vostra introspezione e qui infine spandendosi. Immaginatevi nel centro del maelstrom, immaginate che quello sia un giorno della vostra vita. Accorgetevi di come da quel punto ogni cosa si dissolva, vorticando, in un luogo in cui tutto si dilata e nel mentre che gira, muti in una forma di colore, una tinta sfuggente cui ridare un volto, una forma, una nuova chance.
Tornerà in qualche altra forma, anche ciò che è più lontano (nonostante tutto), ci parrà allora più vicino, closer.

 

As the petals guide the path
to a stolen nowhere
you are not there
but your perfume still lingers





01. I
02. Escape
03. I'll Give Myself To The Wind
04. Under Crimson Skies
05. V
06. The Old Dead Tree
07. With The Death Of A Blossoming Flower
08. Closer

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool