Arrangiamenti scarni, produzione lo-fi, note ovattate e linee vocali provenienti dal regno dei morti, rappresentano il marchio di fabbrica della band, anche se in tale occasione il tutto sembra diventare più crudo e marcio, al contrario di quanto si osservava nelle ultime prove sulla lunga distanza. Una scelta anacronistica e discutibile che, oltre a quasi cancellare la presenza del basso, affievolisce la spinta veemente di parecchie sezioni dei brani, così come non convince appieno la prestazione dietro il microfono di Nocturno Culto, a tratti stanco e appannato, e a cui non avrebbe fatto male la compagnia di un Fenriz formato Isengard.
In ogni caso, dai testi criptici a libera interpretazione a un artwork, replica di un dipinto del 1972 di David H. Hardy, "Pluto And Charon", che sa di autoreferenzialità e citazionismo, passando per la classe e il mestiere degli scandinavi, il disco riesce a catturare l'attenzione a dispetto di alcuni passaggi tirati troppo per le lunghe. Colpiscono positivamente l'intro e l'outro post punk di una "His Master's Voice" che oscilla tra una cavalcata di conio speed e una serie di riff simili a quelli elaborati nel periodo "Total Death" (vedesi in particolare "Majestic Desolate Eyes"); altrettanto fanno l'ottima "Hate Cloak", un incrocio accattivante di Cirith Ungol e Celtic Frost, e l'arrembante "Wake Of The Awakened", pezzo che, impostato ritmicamente su una batteria al galoppo stile Bathory di "Blood Fire Death", mostra la secchezza incisiva di "Transilvanian Hunger" e il carattere fiero di "The Underground Resistance". Un paio di assoli à la Manilla Road screziano di solennità oscura e malinconica la lentezza ipnotica di "Voyage To A North Pole Adrift", mentre la chiusa "Lost Arcane City Of Uppakra" a una prima parte di marca NWOBHM, ne accosta una seconda guidata da evocativi sintetizzatori burzumiani con spettrale spoken word a corredo.
Niente di straordinario e molto di già sentito nel diciottesimo album dei Darkthrone: eppure, in tempi di grande incertezza, consola sapere che nella terra dei Fiordi esistono sicurezze dal nome di Gylve Fenris Nagell e Ted Arvid Skjellum. Non si può non amarli.