Europe
War Of Kings

2015, UDR Records
Hard Rock

La nuova guerra dei re si scatena tra riff moderni e sonorità anni '70: più blues, più heavy, più esplosivo. Più Europe che mai. Hail To The Kings!
Recensione di Giulio Beneventi - Pubblicata in data: 26/02/15

"The king will return, with gold in his hand
The castle will burn, in the enemy land
And he will save our people."


Così preannunciava Joey Tempest più di trent'anni fa, sin dal lontano album d'esordio dei suoi Europe. E così è stato: dopo il declino nei 90s, le cotonate ormai lisciate, i remix tamarri di capodanno, il nuovo "inizio dall'oscurità" e la progressiva ripresa del potere, il re è tornato in guerra, giunto al decimo appuntamento discografico (primo sotto UDR Records) per salvare le nostre anime da troppo tempo esposte ad immondizie musicali.


Scherzi a parte, il nuovo "War Of Kings", registrato ai PanGaia Studios di Stoccolma, ha davvero un'aura regale, che ispira un rispetto atavico in quanto, come sbandierato anticipatamente dal frontman svedese, si ricollega al passato, optando per un classic rock dalle venature settantiane squisitamente blues e la scelta è .... (rullo di tamburi) senza ombra di dubbio vincente. Inutile precisare che non si tratti di "Out Of This World - Parte 2", e penso che fino a lì ci arriviate anche da soli. Tutt'altro: è mantenuta la tendenza "moderna" della svolta dei Duemila che, mescolata ad influenze storiche, giunge al suo picco qualitativo, rievocando a tratti i giorni dell'hard ‘n heavy giovanile pre-introduzione del tastierista Mic Michaeli, quando il giovine Joakim Larsson copiava le mosse con l'asta del microfono a David Coverdale e la Forza scorreva potente in quella band di Upplands Väsby che faceva degli UFO, Thin Lizzy e Status Quo la loro unica ragion d'essere.


Si torna a percorrere dunque la strada grezza di "Secret Society" (sebbene gli elementi degli ultimi "Last Look At Eden" e "Bag Of Bones" siano rintracciabili un po' ovunque), confermando il ruolo di apripista alle linee dure di John Norum e John Leven ma, allo stesso tempo, riportando (finalmente) in (semi) primo piano la tastiera di Michaeli, in passato troppo trascurato (se non quasi di fatto eliminato), sia a livello di dischi che di live. E bisogna ammetterlo: sin dal primo ascolto, per quanto duro sia, "War Of Kings" suona perfettamente Europe e non è davvero una esagerazione dire che le 11 composizioni (12 con la strumentale "Vasastan", inclusa solo nella versione giapponese), data la loro varietà, non annoiano neanche per un secondo. La title-track mette innanzitutto in mostra un solido incedere anthemico à la Black Sabbath, mentre già dall'accelerazione con la successiva "Hole In My Pocket" si capisce che Norum è particolarmente in forma e non è affatto avaro di virtuosismi. Il basso di Leven poi introduce al mid-tempo "Second Day", dal gusto estremamente melodico, che insieme a "Nothin' To Ya" e "California 405" offre una perfetta di sintesi di A.O.R. moderno e tenebroso. I migliori momenti in generale risiedono sicuramente nel potente crescendo di "Praise You" e nella ballata "Angels (With Broken Hearts)", in cui è l'elemento blues-Deep Purple a dominare sull'heavy-Sabbath. La vetta più alta viene però raggiunta con la splendida "Days Of Rock N' Roll", che segna il massimo del climax Seventies, tanto che sembra essere stata scritta da un redivivo Phil Lynott; sono sicuro che un pezzo di tal calibro sarà sfruttato a dovere nell'imminente tour (guarda caso con i Black Star Riders), come lo sarà di certo anche "Rainbow Bridge", dai ricami orientaleggianti che ricordano piacevolmente gli Zeppelin di "Kashmir". "Light It Up" chiude infine nel migliore dei modi, con lunghe svisate del guitar hero norvegese che ha così modo di ultimare l'ottima confezione di soli sensazionali degni del maestro Gary Moore (quello di "Children Of The Mind" è davvero sopra le righe). Nella sua scia, tutti i membri firmano un'ottima prestazione; Tempest poi è sempre unico, ma va riconosciuto anche un particolare merito a Ian Haugland: se "War Of Kings" è così carico, gran parte è merito suo e del suo talento dietro le pelli.

 

La sensazione che si avverte dopo aver metabolizzato la scaletta è che dalla reunion il quintetto abbia trovato infine con questo decimo disco la rotta definitiva: quella che, nonostante l'atmosfera cupa, porta nuovamente alla luce più luminosa e ristabilizza il fenomeno Europe secondo delle precise coordinate. Certo, chi storceva il naso dinnanzi ai precedenti album, chi mandava le foto di Kee Marcello a Chi L'ha visto e i puristi/nostalgici di sicuro continueranno a essere insoddisfatti. Io personalmente vedo questo lavoro più come un nuovo punto di arrivo di una costante evoluzione che da "Start From The Dark" ha voluto spingere in una differente direzione ed è innegabile che abbia fruttato diversi capolavori (penso a "Hero", "Always The Pretenders" o "New Love In Town"), seppur sporadici, accompagnati talvolta da episodi meno ispirati: un graduale percorso in crescendo che faceva intuire che era solo una mera questione di tempo e di "avere fede" (e con questa chiudo le citazioni, giuro) per ottenere un album riuscito in ogni sua traccia. Ora ci siamo davvero.


Il botto è giunto con "War Of Kings" che, di conseguenza, è ritenibile il miglior lavoro del nuovo periodo. Forse, a voler essere onesti, è anche qualcosa di più. Forse non è così distante dai classici del passato. Quel che è certo è che i "giorni del rock ‘n roll" per gli Europe non sono passati. Anzi, sono più vivi che mai.





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