Alla pari di bocconi prelibati posti in apertura e a conclusione del pasto, una coppia di pezzi interamente strumentale introduce e sigilla il lotto, mostrando l'ampio ventaglio di soluzioni alternative di cui il quartetto dispone, tra l'ardito diluvio post black metal della title track, discordante e vagamente epico, e il sustain prolungato ed estenuante di "Divide". Il corpus centrale del resto conosce ulteriori declinazioni: le chitarre nu metal di "Cold", le vibrazioni acide di "Siege" e il mid-tempo "Trapped", che gode di continue mutazioni armoniche, collidono con il pungente noise di "Bodies" e l'attitudine crust di "Unborn". Mentre una coltre di rumorosi feedback inonda la classica struttura HC di "Faith", sono le digressioni politiritmiche di stampo math della batteria a tracciare le coordinate di "Deprive", laddove la tossica "Logging" calca territori sludge nella propria furia devastatrice. L'equilibrio instabile di urla cartavetrate e growling sulfureo costituisce probabilmente il lato debole del lavoro che avrebbe giovato in tal senso di una scelta più netta a favore di una delle due modalità di cantato: nei brani cadenzati e dall'aura torbida, veri highlights del platter, i latrati a là Jacob Bannon non sempre risultano pertinenti al mood evocato.
Quando il respiro diventa affannoso e la tensione cerca ansiosamente una valvola di sfogo, "Fear" si candida quale rimedio uditivo ideale; una scarica di hertz e bpm incessante, opima di distorsioni urticanti e mediata da una drappo funebre di basse frequenze, che lascia atterriti e turbati. Gli oracoli della sventura dimorano nel sistema simpatico collettivo: benvenuti nella Discomfort zone.