Vallenfyre
Fear Those Who Fear Him

2017, Century Media
Death Metal/Doom Metal

"Fear Those Who Fear Him" è un altro centro per Mackintosh e soci, che dimostrano di avere ancora tante cose interessanti da dire, anche al di fuori delle band che gli hanno dato il pane per interi decenni
Recensione di Icilio Bellanima - Pubblicata in data: 12/06/17

Ci sono side-projects di membri di grosse band che nascono come pura e semplice valvola di sfogo, il più delle volte destinata a polverizzarsi nel giro di un album: un divertissement per sperimentare altrove qualcosa che "in casa propria" è off-limits. I Vallenfyre, fondati nel 2010 da Greg Mackintosh, hanno permesso al fondatore e mente dei Paradise Lost di rendere un po' più sopportabile, nei limiti del possibile, una perdita che è grande come una voragine, quella del padre. Che non fosse un passatempo, insomma, apparve chiaro da subito, e bastarono le prime note di "A Fragile King", l'ottimo debutto, accompagnato da Glencross, ex-My Dying Bride, e Adrian Erlandsson, che è stato dietro le pelli di decine di formazioni formidabili, dagli At The Gates ai The Haunted, passando per gli stessi P.L. e Cradle Of Filth, per fugare ogni dubbio, merito della potenza catartica di quelle note.
 

Si trattava, e oggi più di ieri, di una musica ancor più nera e insofferente di quella a cui Greg e soci ci hanno abituato per anni, una commistione di death grezzo e doom funereo che con il passare del tempo si è de-evoluta, come piace affermare ai nostri, ora ufficialmente un trio con Waltteri Väyrynen, compagno di band di Mackintosh, alla batteria. Al punto da poter affermare che certe soluzioni dell'eccellente Splinters, secondo opus dei nostri, apparivano persino "raffinate", rispetto a quanto fatto con questo "Fear Those Who Fear Him", ulteriore motivo di giubilo per lo status della band, che non solo ha continuato ad avere una ragione d'esistere, ma è riuscita ad inanellare un terzo centro di tutto rispetto. 12 brani che non reinventano nulla, sia chiaro, e che in alcuni frangenti lasciano spazio ad un po' di pigrizia e di noia (ma non troppa), che però mescolano con talento e maestria un caleidoscopio di influenze marcissime. Nei 39 minuti a loro disposizione, i Vallenfyre snocciolano un mix estremamente bilanciato (quanto rude e brutale) di death e doom metal, infarcendolo senza parsimonia alcuna di sfuriate più affini al crust e all'hardcore: non solo rallentamenti da funerale e la voce al vetriolo di Greg, insomma, ma anche bordate di blast-beat, ritmi sincopati, con le chitarre "a motosega" a fare da filo conduttore lungo tutta l'opera. La produzione, ad opera del mai troppo lodato Kurt Ballou (basta e avanza il nome Converge), non è altro che il fiore all'occhiello di un'opera ricca di perle, tanto quelle in cui nostri si lanciano in tributi alla scuola svedese e inglese del death metal, quanto, soprattutto, quando tornano all'ovile nei momenti più cadenzati, in cui l'esperienza quasi trentennale in campo doom delle menti coinvolte fa capolino e impartisce l'ennesima lezione di stile. "An Apathetic Grave" e "The Merciless Tide" rinunciano al "tupa-tupa" e ricambiano con una lentezza sfiancante (nel senso buono), ma ci pensano brani come "Nihilist" e "Messiah", entrambi sotto i 2 minuti, a ribadire l'identità marcia e scavezzacollo dei Vallenfyre.

 

Come anticipato, "Fear Those Who Fear Him" è un altro centro per Mackintosh e soci, che dimostrano di avere ancora tante cose interessanti da dire, anche al di fuori delle band che gli hanno dato il pane per interi decenni. Un artista completo, lui in primis, che è riuscito a trasformare la "terapia" per affrontare una tragedia in un act valido meritevole di rispetto e attenzione.





01. Born To Decay
02. Messiah
03. Degeneration
04. An Apathetic Grave
05. Nihilist
06. Amongst The Filth
07. Kill All Your Masters
08. The Merciless Tide
09. Dead World Breathes
10. Soldier Of Christ
11. Cursed From The Womb
12. Temple Of Rats

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