Dopo i fasti invernali del pregevole "Winter", i Fen realizzano un sesto album, "The Dead Light", ricco di poesia e suggestioni: gli inglesi riescono ancora una volta a dirottare l'ascoltatore su paesaggi sonori cupi e seducenti, conservando una matrice stilistica ben identificabile. Del resto, quando si parla di black metal contemporaneo intriso di post rock, i nostri non sono certo secondi a nessuno e il nuovo disco certifica l'assoluta validità del giudizio; rispetto al recente passato, tuttavia, il gruppo propende per un approccio più diretto, attraverso pezzi mai convenzionalmente strutturati, ma meno contorti, e una durata complessiva che sfiora appena i sessanta minuti.
Gli elementi espressivi del combo restano in ogni modo al loro posto, impassibili e fondamentali: la preminenza dei mid-tempo, le melodie spettrali, le emozionanti deflagrazioni chitarristiche, i nevralgici break atmosferici. Eppure, la lenta costruzione di un opener come "Witness", che si snoda lungo cascate di riff e meravigliosi crescendo di batteria, rivela il chiaro desiderio del terzetto di inserire decisi tocchi di matrice psych/prog al proprio progetto. Senza esagerare.
La stessa title track, segmentata in due blocchi, e le maggiormente epiche "Nebula" ed "Exsanguination" strizzano l'occhio a Enslaved e Pink Floyd non indulgendo comunque troppo in arabeschi e ghirigori, dal momento che lì e altrove le parti veloci e brutali vengono elargite con la dovuta regolarità ("Labyrinthine Echoes", "Breath Of Void"). La chiusa, affidata a "Rendered In Onyx", aggiunge familiari rivoli shoegaze a un platter capace di sfoderare una bellezza imperiale temperata dall'essenzialità formulare del metallo nero.
Una malinconica pesantezza pervade "The Dead Light": i Fen operano sottili transizioni, fluttuano su superfici instabili, a tratti navigano nella foschia. L'ennesima perla di una carriera priva di macchie.