Ad un mese dalla pubblicazione, l'analisi di quella che pare essere un'avventura destinata ad imbattersi presto in un finale poco lieto è automatica. Il fenomeno FFS non è mai decollato definitivamente, e mai chiaramente sono stati illustrati gli intenti delle band fuse in un progetto atto più alla distrazione che alla concreta realizzazione di una salda realtà. È però tutto perfetto, dalla promozione al prodotto, alla comunicazione, al tour estivo: come due amanti appartenenti a differenti generazioni, Franz Ferdinand e Sparks si specchiano gli uni negli altri, traendo rispettivamente e rispettosamente quella dinamicità artistica desiderata e mai realizzata indipendentemente.
FFS, intonso e non collocato in una dimensione spaziotemporale realisticamente redazionale, è un album grintoso, sperimentale al massimo ma legato carnalmente a un'epoca nostalgica dove il possibile era la tendenza e la tendenza era di sicuro più possibile. Quella degli Sparks? Quella futuristica di cui in Right Thoughts, Right Words, Right Action i Franz Ferdinand ci diedero un assaggio? Non ci è dato sapere. Ambizioso ed incalzante, l'album nasconde elementi che fanno pensare ad un presumibile scopo goliardico.
C'è qualche chitarra acustica, voci sovrapposte alla perdizione, sintetizzatori irriverenti, loop ironici, bassi vintage, movimenti Disco Music e sviolinate classicheggianti in quello che è a tutti gli effetti un esperimento volto alla simpatia, alla leggerezza - ben orchestrata - o, ricordando l'epoca nostalgica, in un tentativo di non-imitazione impossibile, l'ennesima celebrazione indiretta di maestri quali Bowie e Battiato. Anche se a cantare è Alex Kapranos.