Judas Priest
Firepower

2018, Columbia Records
Heavy Metal

Quando le divinità tornano sulla Terra, tremate o mortali.
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 09/03/18

I mari si dividono, i cieli si crepano, vengono meno i confini tra al di qua e al di là.

Quando tornano le divinità non c'è che abbandonarsi alla loro potenza e ascoltare da capo il loro furioso, metallico discorso. Quando diciamo Judas Priest parliamo infatti di divinità, di una band seminale del genere metal tutto, che ha saputo rinnovarsi mille volte e mille volte rinascere dalle proprie ceneri, ogni volta lasciando il segno di sé, di un act giunto al diciottesimo lavoro in studio con grande classe e dignità, anche se non senza problemi: il precedente "Redeemer Of Souls" ha visto l'abbandono del chitarrista fondatore K.K. Downing, sostituito dal virtuosistico Ritchie Faulkner. Poi la morte di Chris Tsagarides e Dave Holland. Inoltre, proprio all'indomani dell'uscita del primo singolo del nuovo album, "Lightning Strikes", è stata diffusa la funesta notizia del morbo di Parkinson di cui è affetto da già dieci anni l'altro chitarrista, il mitico Glenn Tipton, vera colonna portante del Prete di Giuda, il quale non parteciperà al tour proprio per l'aggravarsi del male, e sarà probabilmente sostituito dal produttore Andy Sneap. 

 

Non serve ricordare qui come tra fine Settanta e inizio Ottanta i JP, grazie a un pugno di album innovativi e straordinariamente aggressivi per l'epoca, abbiano contribuito in modo determinante a definire i confini di un intero genere per circa un trentennio. Come non serve ricordare che nel 1990, quando già li si dava per spacciati, seppero scioccare il mondo intero col capolavoro "Painkiller", che da solo ha contribuito a ridefinire quelli stessi confini che la band aveva tracciato vent'anni prima. Incredibile? I Judas Priest sono tutto questo, e molto di più.

 

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E cosa ti combinano i nostri in pieno terzo millennio, dopo un poker di dischi dignitosi ma non certo paragonabili agli splendori del passato? Pubblicano "Firepower" ovvero il loro miglior lavoro da almeno quindici anni a questa parte, certo il migliore dalla reunion con Halford, che fa impallidire il doppio concept "Nostradamus" e supera di molto il pur ottimo "Angel Of Retribution". Difficile trovare in questo platter, che ne raccoglie ben quattordici, un solo brano non ispirato, pesante e lucente come una lama affilata. Dalla travolgente title track che apre la silloge, alla cavalcata di fuoco del singolo "Lightning Strikes", dalla cupezza punteggiata di impulsi elettronici di "Never The Heroes" alla gloria di "Flame Thrower" - una delle highlights, che sembra inizialmente riprendere il classico "Hot For Love"(epoca"Turbo") rivestendolo di un'armatura d'acciaio e fondendolo con "Evening Star", coronandolo infine con uno dei migliori refrain del disco - davvero non riusciamo a trovare un solo momento che non ci convinca.

 

Merito certamente dell'ottimo lavoro dietro la consolle, in cui - per stessa ammissione della band - due tra i più grandi produttori metal della vecchia e della nuova guardia (rispettivamente Tom Allom, produttore storico dei Judas sin dal 1979, e il vincitore di Grammy Andy Sneap) fondono i rispettivi stili ed esperienze in un sound davvero ricchissimo, potente e fresco, che varrebbe da solo l'ascolto dell'album.


Altresì merito doppio della band, di rado affiatata come in queste incisioni, e soprattutto di Sir Robert Halford, signore dei signori delle ugole metal e icona del genere, che regala ai suoi fan un esecuzione di massima intensità e di altissimo livello tecnico e, a chi ancora non lo conosce, tutta la ricchezza dei suoi registri espressivi: che dire dell'abile uso delle dinamiche nel monolite di "Evil Never Dies"? La sua interpretazione è, come sempre, il valore aggiunto alla musica della band, tanto inscindibile da lui come sa solo chi ha seguito con la morte nel cuore la carriera dei Judas con Ripper Owens e i non esaltanti lavori solisti di Halford nei Novanta. I Judas hanno sempre dato il meglio con lo storico singer al timone, e viceversa. Forse, ci permettiamo di supporre, con gli anni la band è diventata davvero la famiglia che ogni grande gruppo vorrebbe diventare e forse anche le ultime difficoltà hanno avuto il loro peso nel rendere davvero intensa l'esperienza di questo disco. E qui veniamo all'ultimo punto: l'ispirazione. L'ispirazione è impalpabile, invisibile: non la puoi misurare e pesare; sta precisamente nello spazio tra un'incisione e l'altra, una session e l'altra, una frase e l'altra, un respiro e l'altro, mentre si lavora al disco. È come l'aria tra le cose: non si avverte quasi, ma non ci sarebbe niente senza di lei.


Questo lavoro - più ancora che tecnica, professionalità, talento, carisma - trasuda ispirazione e freschezza, virtù che vanno al di là dell'innovazione e della sperimentazione, che alla band non interessano punto: rinnovarsi senza tradirsi è sempre stata la sua segreta magia, e lo è ancora. Come non scuotere la testa ascoltando "No Surrender" che con quattro semplici ingredienti ci dà esattamente quello di cui abbiamo bisogno? O la ripida caduta negli Inferi di "Necromancer"? O l'escursione epica e quasi sabbathiana di "Children Of the Sun"? O dovremmo elogiare il modo in cui "Spectre" gioca coll'evidente modello di "The Ripper" variandolo e combinandolo con spunti da altri classici? "Guardians" è poco più della cristallina rampa di lancio dell successiva "Rising From the Ruins", lenta e maestosa, che ci ricorda un'altra delle virtù della band: l'eleganza, che sempre seduce se unita alla crudeltà.

 

Apprezziamo anche gli esiti complessivi di quella che si potrebbe definire la svolta epic - a scapito sia dell'hard rock che delle derive thrash di certi lavori del passato - avvenuta più o meno con "Angel Of Retribution" e proseguita nei lavori successivi, ma mai così convincente come in questo. Eccezione significativa: "Lone Wolf" è un cupo metal blues di frontiera che trasuda classic rock da tutti i pori e ci proietta quasi all'epoca di "Sin After Sin". Non ci resta che fare i nostri più calorosi auguri alla band che tra poco, il 17 giugno, sarà a Firenze per l'unica data italiana del tour e, sino ad allora, consumare "Firepower" fino allo stremo. O al prossimo capolavoro.





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