Doppia felicità, dunque, quando ci sorprendono.
A detta di Waters, gli Annihilator dovevano evitare una secca fin troppo frequente per chi è on the road da decenni, cioè il ritorno al passato; e ha deciso di farlo condividendo il songwriting e (in parte) gli arrangiamenti col resto del gruppo, in particolare col bassista e sodale di lunga data Rich Hincks. Non fraintendeteci, è sempre Capitan Jeff al timone, e si sente dall'inizio alla fine del disco; ma si sente anche un maggior agio lasciato agli altri, una certa leggerezza che tra tanto metallo rovente non guasta e che forse mancava nei recenti e pur ottimi lavori, come "Feast" e "Triple Threat". Vediamo in dettaglio: l'opener "Twisted Lobotomy"- intro metal classic, speed thrash sparatissimo - è forse il pezzo metronomicamente più veloce mai inciso dalla band, in cui dà già tutto il meglio che ci aspettiamo: riffing mozzafiato, assoli con 456 note al secondo, tappeti di doppia cassa e stacchi da brividi al servizio di un solido songwriting; a livello armonico, la band si spinge in territori a lei di solito estranei - come le esatonalità e dissonanze del death/black - sempre entro il loro stile rock metal.
"One to Kill" è un classic thrash (ricorda vagamente "Refresh The Demon") che trasuda buone idee armoniche e carica energetica da vendere; un suono ipercompresso che come non mai amalgama in un monolite il sound della band. "For the Demented" cavalca un metal blues con affondi quasi grind e ampie e felici incursioni nell'hard rock; si avvertono (altra sorpresa) delle backing keyboard? No, sono chitarre effettate; sembra che finalmente Jeff dia più spazio e autonomia al cantante, che modula dal melodico al roco con perizia e gusto.
"Pieces of You" è la classica Annihilator-ballad in minore, con arpeggi in pulito sulla strofa, chorus nei refrain e ancora chitarre-keyboards, con variazione sul ritornello finale che lancia il solo e sfuma; il cantante fa sentire la sua personalità. A tratti si ha la sensazione che, a fronte degli scarni arrangiamenti degli album precedenti, qui in alcuni brani ("Pieces Of You", tra tutti) ci sia troppo... saranno gli effetti (ne racconta Jeff) a cui non siamo abituati. Per il resto suona come il migliore album della band da molti anni a questa parte; il songwriting è fresco e anche il cantante sembra si sia reso più libero dall'ipoteca del cantato di Waters.
"The Demon You Know" è un metabrano, con citazioni ai classici della band, condotto dall'incalzante linea di basso che rivisita "Knight Jumps Queen" e fa anche capolino l'arpeggino di "Alice In Hell". Deliziosa. "Phantom Asylum" costituisce il secondo assalto in grande stile dell'album dopo "Twisted Lobotomy": intro inquietante, strofa come un missile a reazione, refrain sincopato e ponte epic: uno dei momenti più potenti dell'album. Allo stesso modo "Altering The Altar" viaggia a 220 all'ora, infarcito di passaggi virtuosistici e di una freschezza compositiva che mancava da tempo nei dischi della band. Non fosse per i suoni metal e la doppia cassa sul finale, "The Way" sarebbe un classic hard rock fine anni '70 in stile Kiss in cui la vena bluesy - con spigolature punk - di Jeff vola a briglia a sciolta: un divertissement in cui è impossibile non ballare.
La strumentale d'atmosfera "Dark" introduce la successiva e finale "Not All There", tutta al fulmicotone, in cui si riassumono le qualità del disco: una vena fervida, graffiante e al contempo seducente, che speriamo non si perda troppo presto.