La band si inserì nel calderone hard rock-hair metal-glam che andava ribollendo in quegli anni, trainato da band di culto quali Guns N'Roses e Motley Crue ma, pur traendo uno spunto innegabile dai gruppi sopracitati, i Bulletboys identificarono maggiormente il proprio sound con l'hard rock senza compromessi dei Van Halen, unendovi le sfumature blues-rock degli Aerosmith, influsso ancor più evidente nel timbro sporco e grezzo di Torien, in cui è evidente l'ispirazione di Steven Tyler. Ed è per questo che l'essenza della band non è mutata neanche in questo dodicesimo album in studio nonostante l'inevitabile evoluzione risultante dall'ingresso di nuovi membri e dall'adattare maggiormente il sound ai tempi.
L'opener "Apocalypto" ci catapulta subito nel lato più grezzo del rock n'roll, stordendoci col suo hard rock stradaiolo, pur dotato di notevoli aperture melodiche nel finale, per un pezzo che ricorda alcuni degli episodi migliori dei Buckcherry; ancora street/glam molto alla L.A. Guns nella successiva "D-Evil", che inserisce qualche novità alla prestazione vocale, molto sporca, del frontman Torien. Non mancano altri pezzi hard rock senza troppi fronzoli, a partire da "What Cha Don't", canzone tra le più elaborate che, introdotta da un pregevole intro chitarristico, sfoggia un ritmo martellante che viene accentuato anche dall'acuto finale di Torien. Altri brani che seguono le stesse coordinate, sebbene meno riusciti, si rivelano essere "Losing End Again" e "Get Ready", grezza e decisamente accattivante.
Si placano gli animi per lasciar spazio a momenti più intimisti con "Hi-Fi Drive By", lento dalle melodie soffuse e velate di malinconia, che evoca le sottili sensazioni di un viaggio solitario in macchina, accompagnati solo della musica, dalla nebbia e dai propri pensieri; o nella breve acustica "Switchblade Butterfly", in cui il lato romantico della band viene fuori nella sua semplicità, senza bisogno di archi, fiati o arrangiamenti eccessivi. Nella seconda metà dell'album affiorano qua e là anche accenni di sperimentazione, pur restando sempre fedeli al trademark del gruppo: è così che inserti più funk-rock caratterizzano la particolare "P.R.A.B", brano frizzante, divertente e sempre veloce (con tanto di omaggio a James Brown nel finale), mentre la grintosa "Sucker Punch" alterna parti puramente hard/street con altre più rilassate, fino al finale ben più movimentato. Chiude il disco "Once Upon a Time", uno dei brani più elaborati: dall'intro acustica si diramano accordi dall'anima fortemente romantica che, tra dolci inserti di piano e la voce roca ma emozionata di Torien, ci accompagnano soavemente alla fine.
"From Out of the Skies", nuovo debutto dei Bulletboys sotto il marchio Frontiers, si rivela un disco piacevole che guarda al passato con nostalgia, cercando allo stesso tempo di evolversi e trovare soluzioni nuove: non mancano punti deboli da migliorare, quali una prestazione al microfono di Marq Torien a tratti poco incisiva, ed una produzione che sembra appiattire le sonorità dei brani. Quello che non manca, però, è la voglia dei quattro di suonare ancora e di proporre del buon hard rock anche nel 2018, ragion per cui non vediamo l'ora di sentire presto altre news dalla band.