God Is An Astronaut
Ghost Tapes #10

2021, Napalm Records
Post-Rock

Il quartetto irlandese si ripresenta con un album cupo e aggressivo, capace di coinvolgere completamente.
Recensione di Mattia Schiavone - Pubblicata in data: 12/02/21

Quasi 20 anni di carriera, 9 album pubblicati, il riconoscimento unanime di pubblico e critica come una delle principali realtà post-rock del pianeta: diciamo la verità, i God Is An Astronaut potrebbero ormai continuare a insistere sulla stessa formula che li ha resi così tanto apprezzati fin dall'esplosione con "All Is Violent, All Is Bright" e riuscirebbero ad ottenere comunque ottimi risultati. Ma in un momento storico in cui sono poche le band post-rock capaci di prendersi rischi, limitandosi spesso a ricalcare le orme dei padri del genere, il quartetto irlandese continua a dimostrarsi instancabile nella propria evoluzione e ricerca sonora. Se infatti avevamo notato diversi cambiamenti già nell'ottimo "Epitaph", anche il decimo album della band, intitolato non a caso "Ghost Tapes #10", prosegue sulla stessa strada, amplificando le componenti più dark e metal del loro caratteristico sound onirico.

 

Il gradito ritorno di Jamie Dean (dopo pochi anni di pausa) porta nuova energia e linfa vitale: i pezzi si fanno più pesanti e sfuriate propriamente metal si alternano a passaggi più melodici, nei quali riconosciamo i punti fermi del sound che il quartetto ha costruito nel corso degli anni. Quasi tutti i brani vengono costruiti su una sezione ritmica martellante e nervosa, sulla quale le chitarre di Dean e Torsten Kinsella duettano con timidezza e si affrontano con violenza, riuscendo a creare in tutti i casi un magnifico dialogo, dove nulla è mai fuori posto. Oltre ai suoni coinvolgenti, l'attenzione viene sempre tenuta a livelli massimi grazie agli arrangiamenti, che sembrano studiati in ogni minimo particolare: pur trovandoci di fronte a strutture articolate e ad un minutaggio medio piuttosto elevato, i brani si sviluppano perfettamente e sono una continua sorpresa, in grado di regalarci diversi picchi di emozionalità durante l'ascolto.

 

Sono i vigorosi colpi alle pelli di Lloyd Hanney ad aprire l'album nell'intro di "Adrift", ai quali si aggiungono in modo prepotente tutti gli altri strumenti, confluendo in una tempesta sonora dai ritmi sostenuti, capace di immergere immediatamente l'ascoltatore in un'atmosfera cupa e fumosa. La conturbante nebbia si dirada nella parte centrale del brano, che raggiunge una quieta oasi. Ma la calma è solo apparente: la band torna immediatamente ad assalirci con il primo singolo "Burial", che, costruendosi lentamente su un soffice arpeggio accompagnato dalle note del piano, esplode poi in riff graffianti e abrasivi. La band gioca sugli opposti e, pur mantenendo caratteristiche comuni in tutti i brani, riesce continuamente a sorprendere, tendendo la mano e ammaliando con dolci melodie, che si trasformano ben presto in una stretta quasi mortale. La successiva "In Flux" tocca vette assolute, partendo dai synth alieni della prima parte nella quale viene accumulata la tensione, liberata poi in un finale semplicemente perfetto quanto a violenza sonora. "Spectre" e "Barren Trees" sono i brani più convenzionali e immediati, nei quali, sotto la patina di metallo, si possono facilmente riconoscere i marchi di fabbrica del quartetto, mentre "Fade" si riallinea ai primi pezzi e si lascia ricordare per un giro di basso ipnotico, cupo e cavernoso, oltre che per l'ennesimo lavoro certosino di Hanney, che fa da sfondo all'atmosfera desolante creata dalle chitarre. Dopo quasi 40 minuti con il fiatone e il cuore in gola, la band si congeda con il caldo abbraccio di "Luminous Waves", magnifico pezzo conclusivo dalle tinte ambient, che ci lascia fluttuare nel vuoto, accompagnandoci al termine del viaggio.

 

I God Is An Astronaut aggiungono al proprio ricco forziere una tra le gemme più luminose: "Ghost Tapes #10" è un album quasi esente da difetti, nel quale ragione, cuore, violenza e melodia convivono e si intrecciano a formare un magnifico canovaccio. Nei momenti più onirici, come in quelli più aggressivi, l'album regala forti emozioni, che dalle prime tempestose sferzate alle ultime quiete carezze, profumano di catarsi. Difficile non farsi coinvolgere completamente davanti ad una simile esperienza sonora.





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