Good For One Day. E per tutti gli altri giorni? Nulla da temere, la disponibilità di band di questo genere è assai ampia. Quelle che emergono dal calderone della media sono meritevoli di essersi distinte da subito per un particolare inconfondibile, di cui i nostri amici vicentini non hanno ancora del tutto preso possesso. L’impegno è premonitore di un risultato tutto sommato positivo, frutto dell’incontro tra l’ultima cadente parentesi Punk Rock e la nascente implosione Post Hardcore. L’incontro non sfonda il muro del suono, semplicemente perchè è la melodia più classicheggiante a prendere il sopravvento.
La prova lampante di un concetto che cade in un leggero rammarico è l’esecuzione del brano “John Doe”, la descrizione di una maturità chiaroscura, che emerge attraverso i cori di tre voci concatenate: sono i rari giochi vocali che valorizzano una base musicale densa, lodevole ma non innovativa, che perde di vista la potenzialità della propria carica. Poi c’è la malinconica “Leftovers”, che come “Circle” è intensa, un crescendo di complicità e, come una corsa – o una fuga – racchiude la soddisfazione nella fatica. “Empire” e “Dead Wrong” ancora sono l’esempio superbo dell’abilità del gruppo nella creazione di intro motivanti ed illuminanti, che poi vanno a perdersi nel classicismo dei soliti giri di chitarra, sopra una batteria degna di nota.
I Good For One Day sono Nicola Salzillo, Gimmy Gennari, Marco Pittarlin, Matteo Piccolo e Luca Dal Pozzolo, e dai sobborghi di Vicenza – città stipata di realtà del genere – gridano riscatto e commiserazione scegliendo la strada più tradizionalista. “Time and Again” è il secondo disco della compagine, da anni impegnata in concerti per tutto lo stivalem dopo “A Story Never Told” del 2010. Il salto di qualità c’è stato, ma l’invito è quello di tentare di esagerare, spremendo le potenzialità verso un canale più specifico di questo cataclisma generale che è diventata la musica Alternative, altrimenti potrebbe incombere il rischio di non emergere dal calderone del classicismo.