Graveyard
Innocence & Decadence

2015, Nuclear Blast
Psychedelic Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 25/09/15

C'è sempre stato qualcosa di davvero intrigante nel songwriting dei Graveyard, sebbene uno spettro di terribile derivatività affiorasse quasi a ogni traccia di ogni loro disco. Sarà stata quell'attitudine nostalgica quanto scanzonata di goderecci up-tempo come "RSS" o "HisingenBlues", quella tendenza della voce a salir di registro fino a farsi artefice di striduli graffi, o piuttosto l'attitudine bluesy delle chitarre ad avvilupparsi in lunghe sezioni solistiche, non virtuose ma a loro modo godibili e ipnotiche.

 

Ci piacevano tanto i Graveyard, dicevamo: ci continuavano a piacere anche in quel "Lights Out" che mostrava tuttavia palesi segni di involuzione, e che vedeva i rari colpi di genio assestarsi su una sostanziale parità numerica con i momenti di assoluta piattezza. Purtroppo però al tempo del quarto album in studio il tempo degli alibi è già finito da parecchio tempo, e non può bastare restare fossilizzati nella propria comfortzone di riff settantiani, di abbozzata psichedelia e di sveltissimi brani di 3 minuti con batterie rullanti per essere ancora convincenti e credibili. Perché è ancora questo che sono i Graveyard, e "Innocence & Decadence" lo dimostra eloquentemente: le sonorità degli svedesi -e non la resa complessiva e le atmosfere, ma i singoli riff, i singoli hook, i singoli assoli- sono sostanzialmente le stesse dal disco d'esordio. E peggio ancora, all'album mancano completamente le intuizioni capaci di far soprassedere sulla generale mancanza d'idee: il crooning del main single "The Apple And The Tree", unito a una struttura dei versi un po' cervellotica in quanto a metrica, rende l'ascolto del pezzo davvero arduo; il coro semi-gospel e gli sprazzi Floydiani di "Too Much Is Not Enough" sembrano oggettivamente fuori contesto; il lento "Exit 97" ha un andamento troppo dimesso e molle per lasciare davvero il segno (lontanissima l'intensità di ballate come "No Good Mr. Holden" o "Unconfortably Numb").

 

A non rendere troppo grave il giudizio sull'album interviene tuttavia una buona chiusura ("Far Too Close" ma soprattutto l'evocativa "Stay For A Song") ma soprattutto un'inattesa chicca: "From A Hole In The Wall", affidata all'asmatica voce del nuovo bassista Truls Morck, si destreggia agilmente su sacrali organi e su un glorioso blast beat (in fondo la band viene da Gothenburg). Sono indizi che la band possiede ancora qualche vera scintilla di creatività, ma -anche e soprattutto- dimostrazioni di come la formula della cavalcata di tre minuti imbottita di overdrive non è l'unica strada percorribile per incidere classic-retro-rock.

 

E si spera che i Graveyard riescano a capire davvero su quale strada imbarcarsi, perché al quinto studio album si sarà ben fuori dalla fase della propria innocenza, ma si potrà già essere inesorabilmente incamminati verso la decadenza. 





01. Magnetic Shunk

02. The Apple And The Tree

03. Exit 97

04. Never Theirs To Sell

05. Can't Walk Out

06. Too Much Is Not Enough

07. From A Hole In The Wall

08. Cause & Defect

09. Hard Headed

10. Far Too Close

11. Stay For A Song 

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