Green Day
Revolution Radio

2016, Reprise/Warner
Punk Rock

Una rivoluzione che fa paura, carica e regala sorrisi: i Green Day recuperano ciò che avevano lasciato in sospeso alla fine dei mitici '90 e sparano proiettili di esperienza e maestria.
Recensione di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 06/10/16

La radio è accesa. È la "mass confusion" che genera "hysteria" per la "class of '13, in the era of dissent". Era American Eulogy, era 21st Century Breakdown. Ma ora, più di allora, la radio è accesa. Parla delle stesse cose del 2009? Probabilmente sì. Sono passati sette anni, una trilogia di album divertenti e controversi, la terra gira e tormenta la band che in pochi semplici accordi fa girare il cuore ed accende tormenti dell'anima. La terra gira e cambiano le maschere sui volti dei protagonisti di uno scenario - politico, sociale, culturale - paurosamente ripetitivo. E allora anche loro se le mettono, le maschere: svaligiano la banca dei sentimenti, per dare fuoco, pubblicamente, alle speranze dei tempi che furono: ci si goda il momento, un momento conquistato con il sudore della propria fronte.

 

"I love a lie just like anybody else, I want to be a celebrity martyr".

 

E' St. Jimmy che parla? Probabilmente sì. È il coro di American Idiot che ritorna a far tremare le mura imposte e inattaccabili dalla pigrizia dell'abitudine. Ma stavolta è diverso, fa più male. Lo sentiamo da dentro. Perché il pericolo, ora, è tra le nostre mani. Lo accarezziamo ogni giorno, inconsapevoli e ciechi, aspettando un boato, ossigeno nelle vene.

 

"Rise! of the slums to the obsolete, the dawn of the new airwaves for the antisocial media".

 

La rivoluzione. Un concetto tanto caro a Robespierre quanto a Copernico, agli Who quanto ai Ramones. Più che un atto di forza, una speranza, un sogno per cui lottare. E per i propri sogni i Green Day, e chi a loro sta più vicino, hanno lottato. E hanno vinto, consegnando nelle mani di chi è pura forza un album ricco di riferimenti al passato. Il passato che esplode nelle decisioni che scrivono il nostro futuro.

 

"We will be seen but not be heard, we are the songs of the disturbed".

 

Ci sono gli Who, i Ramones, i Green Day di Insomniac, di Dookie e della trilogia dei giocattoli, i classici americani ed i sogni di tutti. Tributi? Onori? Insegnamenti? Probabilmente sì. Mike sfodera bassi puliti che mordono, inesorabili, Trè Cool registra, a suo dire, "il suo miglior drumming di sempre". La mini suite "Forever Now" è uno scherzo, è un must, è il dono di Billie Joe a una folla oceanica di sostenitori che si ritrovano appieno nello spirito di un genere che della frase "I don't have much, but what we have is more than enough" ha fatto il proprio Amen. 45 anni e sempre più Youngblood, o, a seconda delle preferenze, Too Dumb to Die: c'è sempre il sorriso alla fine di ogni giro di power chords, c'è sempre una mano tesa ogni volta che uno strumento ha smesso di vibrare.

 

Revolution Radio è una rivoluzione di pace. Ci credete? Probabilmente sì.





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