Black Label Society
Grimmest Hits

2018, E 1 Music
Heavy / Hard Rock

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 31/01/18

A quattro anni di distanza dal discreto "Catacombs Of The Black Vatican" (2014), lavoro che, pur non essendo una prova memorabile, fruiva di una lucida coesione interna favorita da una generale impostazione melodica e cadenzata dei pezzi, i Black Label Society tornano a ruggire in studio confezionando un album che accenna all'heavy irruente di "Sonic Brew" (1999) e "1919 Eternal" (2002) piuttosto che ai crepuscolarismi di "Shot To Hell" (2006).

 

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"Grimmest Hits", che dal titolo sembra quasi assumere le sembianze di una compilation, in realtà rappresenta l'ennesimo inedito della creatura statunitense guidata da Zakk Wylde, musicista spesso impegnato su più fronti, ma ancora in grado di graffiare con le sue sabbathiane circonvoluzioni di chitarra grate a Tony Iommi e Rhandy Rhodes. Il nuovo LP, come da tradizione, presenta una serie di tracce che spaziano dalla ballad virile alla cavalcata possente: lontani dal cupo e fiacco periodo mediano della loro carriera, i nostri ritrovano il sanguigno spirito degli albori e una capacità di scrivere testi decisamente migliore rispetto al passato.

 

L'opener, affidata alle note dell'anthemica "Trampled Down Below" stabilisce con forza i paletti entro cui si muove il platter: ugola calda, giri southern e groove martellante sono gli aspetti principali caratterizzanti il brano e l'architettura generale del disco. Elementi che si ritrovano nella seguente "Seasons Of Falter", canzone di certo meno arrembante dal punto di vista ritmico, tuttavia finemente cesellata nella struttura e arricchita da un fraseggio centrale debitore dei Black Sabbath di "Master Of Reality" (1971). Infatti benché da un lato Wylde limiti al massimo gli ozzysmi nelle linee vocali, dall'altro le continue incursioni nell'universo Osbourne  influenzano non poco le plettrate del barbuto axeman: del resto basta guardare all'anfetaminica "The Betrayal" o al turgore delle corde di "Disbelief" per accorgersi che sì,  il trapianto della Birmingham dei seventies  nel New Jersey risulta perfettamente riuscito. Gioco di armonici per "All That Once Shined", pista inframmezzata da un suggestivo break di stampo blues e che tracima verso la fine in un hard dagli angoli smussati: vellutate vibrazioni che fungono da antipasto alle tenui ballate "Only Words" e "The Day That Heaven Had Gone Away", prossime allo stile delle pause riflessive di "Pride And Glory" (1994), omonimo e unico parto dell'estemporaneo side project di Wielandt. 

 

Un concentrato di adrenalina e pesantezza spezia la robusta "Room Of Nightmares", mentre "A Love Unreal", dall'intro acustica ed elegante, muta rapidamente, abbinando a un guitar work spavaldo un refrain immediato e di facile presa. Se "Illusions Of Peace", pigia il piede sul metal, affastellando Led Zeppelin e tipici stop&go alla BLS, tinte sudiste e doomy colorano "Bury Your Sorrow", uno standard che non aggiunge nulla a un lotto già piuttosto corposo; il convenzionale soft rock di "Nothing Left To Say", vicino al mood dei full-length solisti del singer, chiude una tracklist che avrebbe meritato una conclusione incendiaria degna del curriculum pirotecnico del monicker nordamericano.

 

Nonostante cinquantacinque minuti di durata appaiano effettivamente troppi e cassare un paio di composizioni sarebbe stata un'opera pia, "Grimmest Hits" mostra un combo affiatato e abile nel propinare una formula ben conosciuta ormai da quasi due decenni senza provocare fastidiosi sbadigli: i Black Label Society evitano, per ora, la falce della nera mietitrice musicale.





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