Haken
The Mountain

2013, InsideOut Music
Prog Metal

Saliti sulle spalle dei (gentili) giganti, gli Haken scorgono nuovi orizzonti per il British Prog
Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 29/08/13

Sebbene a un'analisi attenta ci si renda conto di come sia stata favorita da un'iniziale ruffianaggine e dalla contemporanea, inarrestabile fossilizzazione dei dinosauri del settore, non si può comunque fare a meno di provare sorpresa e ammirazione per la risoluta e rapidissima ascesa degli Haken verso l'Olimpo del prog metal. Correva il 2007 quando questo sestetto di giovani sconosciuti (a parte un paio, già membri dei non certo celeberrimi To-Mera) dava alla luce il primo demo, dall'eloquente lunghezza di 58 minuti; insolitamente breve, di lì, il passo perchè i primi due album "Aquarius" e "Visions" venissero riconosciuti praticamente all'unanimità come assoluti capolavori, e inseriti dalle testate specializzate più prestigiose nelle proprie liste di pietre miliari del genere.

 

Forte di un nuovo contratto con la rilevante label InsideOut, la band londinese arriva, facendosi largo attraverso una marea di aspettative, alla pubblicazione del terzo album: con il chiaro obiettivo di imporsi come apripista di nuove tendenze piuttosto che come semplice -per quanto impeccabile- riassunto di quanto s'è già sentito, "The Mountain" mostra immediatamente d'essere colmo di nuove sfaccettature, d'inedite, personalissime e convincenti variazioni sul tema. Confermato il bando agli inspiegabili growl dell'esordio e resa umanamente accettabile la lunghezza massima dei pezzi (ovvero: niente tracce da più di venti minuti), quel che è evidente è come l'album si sviluppi su due diverse direttrici, soltanto all'apparenza parallele: da un lato, un appassionato e sobrio storytelling al piano, costruito sul toccante tema introdotto nell'opener "The Path" e ripreso dalle tante altre ballate sparse per la scaletta, con un tono adesso speranzoso, adesso un po' più sacrale, per arrivare infine al definitivo, cupo sconforto della solenne "Somebody"; dall'altro un abbandono a cavalcate prog metal più dirette e "usuali", colme di accelerazioni, ruvidità chitarristiche e pomposissime tastiere.

 

Ci si accorge presto però di come tali fili conduttori s'intersechino innumerevoli volte, legandosi in un continuum aggraziato e dotato d'un fine equilibrio. L'eclettismo ereditato dall'enorme retroterra culturale del progressive settantiano britannico, quello dei Gentle Giant o degli Yes, si fonde armoniosamente con giochi vocali e inserti di piano dal sapore fusion, ma anche con alcune sporadiche divagazioni tecniche (solo queste ultime finiscono per sembrare leggermente superflue, come nella parte centrale della lunga suite "Pareidolia"). E mentre la gloriosa e bombastica epicità delle produzioni odierne celebra quest'unione fuori dal tempo, s'insinua sotto di essa un estro purissimo ma schizoide, affine alle avanguardiste follie dei Leprous (quelli di "Bilateral", non del più compassato "Coal").

 

Sarà la strabiliante "Cockroach King", highlight assoluto di un'intera carriera, il frutto intrinsecamente malsano ma straordinariamente delizioso d'un così sterminato insieme di contaminazioni; esempio perfetto dello spessore e dell'immediata riconoscibilità del sound degli Haken, conferma come insieme a una natura sostanzialmente riepilogativa possa convivere una spinta per l'evoluzione, verso quel passo avanti di cui il mondo prog metal ha un disperato bisogno.





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