Ci hanno preso davvero gusto i Cirith Ungol: dopo il clamoroso come back dello scorso anno con lo splendido "Forever Black", il redivivo quintetto dà alle stampe "Half Past Human", un EP di quattro tracce, sinora quasi del tutto inedite, composte prima del debutto sulla lunga distanza "Frost And Fire" (1981). Un tuffo in un momento storico di sana confusione identitaria, quando il metal, ancora in fase di elaborazione, sembrava più il cugino cattivo e rumoroso dell'hard rock che un genere a sé stante; il gruppo a stelle e strisce impacchetta lo spirito di quell'epoca all'interno di una produzione moderna che rispecchia la fisionomia del loro recente lavoro. Il risultato di tale collisione tra il passato remoto e il presente, già corroborato da una line-up che copre praticamente ogni fase cronologica della carriera della band, è un mini che ne conferma la forma smagliante ammirata nell'album del ritorno.
"Route 666", brano che compariva, in versione ridotta, nella scaletta di "The Orange Album" (1978), possiede sia l'atteggiamento grintoso dei Motörhead che il mood oscuro dei Black Sabbath. Una canzone decisamente contestuale al periodo, la cui potenza viene amplificata dall'energica esibizione della coppia d'asce Greg Lindstrom/Jim Barraza, oltre che da un assolo mozzafiato nell'ultimo terzo della traccia. "Shelob's Lair", invece, vede i californiani ritornare a farsi cantori del mitico e dell'orribile tolkienano, visto che titoli e testo rimandano a "Il Signore Degli Anelli", precisamente al gigantesco ragno demone a guardia del passo situato sugli Ephel Dúath. Il ritmo varia dal downtempo ad accelerazioni robuste, intersecandosi a lead chitarristici dal taglio bluesy e profumati di Seventies e alla classica voce stridula di un Tim Baker sempre straordinario, capace di infondere suggestioni oniriche al racconto.
E se nella concisa "Brutish Manchild", pubblicato nel maggio 2020 da Decibel Magazine in una redazione meno convincente, l'enfatico basso di Jarvis Leatherby assume un ruolo preponderante, tocca alla title track alzare di molto il livello qualitativo della scaletta. Un epic doom cupo e atmosferico, caratterizzto da una filigrana solennemente perfida che deve tanto a un disco come "King Of The Dead" (1984), quanto ai migliori Manilla Road e Mercyful Fate, senza dimenticare il particolare fondamentale che gli statunitensi di Ventura rappresentano i precursori di entrambi.
Nonostante un pugno di pezzi scritti quando i dinosauri calcavano i suoli terrestri, "Half Past Human" suona fresco e avvincente, a dimostrazione che i Cirith Ungol guardano indietro non al fine di tirare avanti la carretta, ma per riappropriarsi, rivitalizzandolo, di un passato pronto a finire amaramente nel dimenticatoio. Conviene liberare dello spazio negli scaffali, signori, perché il futuro appartiene a questi melniboneani d'adozione.