Restare fedeli a sé stessi pare costituire il motto degli Hammer King che, dopo una serie di album licenziati sotto la nostrana Cruz Del Zur Music, scelgono di battezzare l'esordio su Napalm Records con un quarto album omonimo dal tradizionale impianto heavy/power di stampo teutonico. Non cambia dunque molto né in termini di stile né di contenuti per i tedeschi, a cui va dato comunque atto di possedere una salutare dose di autoironia - dai nom de plume ai testi - e una discreta abilità di giocare con i cliché senza ammorbare l'ascoltatore. Certo, utilizzare la parola hammer, presente anche nel moniker, in tre titoli di brani non rappresenta il massimo della fantasia, così come il songwriting non spicca per grandi variazioni, ma si sa, la propria immagine va coltivata con coerenza e il commando fantasy di Kaiserslautern, a questo proposito, non indietreggia, prendendosi i rischi del caso.
Il gruppo naviga a vista tra Hammerfall, Manowar, e soprattutto primi Powerwolf, con i lupi di Saarbrücken che sbucano fuori nelle ardenti "Baptized By The Hammer" e "Ashes To Ashes", attraversano di striscio una traccia ai confini del thrash quale "Hammerschlag", nobilitata da ospiti di rilievo (Gerre, Isaac Delahaye, The Crusader), ispirano "Onward To Victory" e "Atlantis (Epilogue)", due martellanti mid-tempo dalla forte carica anthemica. Il ricco fondo della scena metal europea viene scandagliato con attenzione: durante "Into The Storm" e "In The Name Of The Hammer" gli alemanni, infatti, sembrano indossare il tricorno e affilare la sciabola visto che la struttura generale di entrambe le canzoni e i singoli riff richiamano da vicino l'estetica dei Running Wild. E in "King Of The Kings" il combo si cimenta addirittura - e coraggiosamente - con dei cori à la Blind Guardian, raggiungendo soltanto in minima parte l'enfasi epica dei bradi di Krefeld.
Ciò che manca al disco, e globalmente agli Hammer King, è quel qualcosa in più che possa fare davvero la differenza; lo stesso Titan Fox V fornisce una prova vocale di sicuro solida, tranne qualche lieve traballamento, ma non ci troviamo di fronte a un singer capace di dare un'impronta indelebile ai brani, alla maniera, giusto per restare in tema, di un Attila Dorn o di un Hansi Kürsch. Un lavoro, in ogni caso, divertente, ben prodotto e che infiamma negli episodi migliori, nonostante il suo profilo altamente derivativo.