Harem Scarem
Thirteen

2014, Frontiers Records
Hard Rock

Recensione di Giulio Beneventi - Pubblicata in data: 30/12/14

Gli Harem Scarem sono sempre stati il prototipo della band sventurata: giunti dal Canada con belle speranze e saliti alla ribalta quando la festa dell'A.O.R. iniziava a scemare e gli ospiti a tornare a casa con sottobraccio i dischi degli Alice In Chains, si ritrovarono incatenati al genere di appartenenza in caduta libera verso l'oblio commerciale e relegati dalle grandi label in secondo piano quando i pesci grossi come i Giant o i Bad English si sparavano le ultime cartucce da top ten. Gli anni '90 se li portarono via in questo modo, in balia della peggiore delle compagnie per dei musicisti: l'indifferenza.


E così con un salto temporale veloce come un battito di ciglia ci ritroviamo nel dicembre del 2014, e nel bene e nel male, i canadesi hanno continuato a registrare dischi, giungendo al tredicesimo appuntamento discografico, chiamato proprio "Thirteen" e realizzato per la Frontiers Records (che li ha da poco aggiunti al bill del secondo Frontiers Rock Festival a Trezzo sull'Adda della prossima stagione) attraverso il crowdfunding di Pledgemusic, dopo una pausa di oltre 6 anni dall'ultimo album di inediti.


La sventura in qualche modo è sanata dal tempo, con un lavoro che, sebbene non replichi l'ottima sostanza delle primissime uscite, non tradisce le radici e si fa apprezzare: le 10 tracce in scaletta, a partire dall'opener "Garden of Eden" e dalla seguente "Live It", squisitamente chitarristica, propongono immediatamente una formula di carica e di solide armonie vocali. L'originalità certo non è la caratteristica principale e lo si evince già dai titoli: "Saints And Sinners", "The Midnight Hours", "Never Say Never".. diciamo che la sensazione di déjà-vu è tutt'altro che fiacca. I comandamenti sono comunque rispettati diligentemente, dalla riff-song aggressiva "Early Morning Signs" fino alla tipica power-ballad "Whatever It Takes", e lo stato di salute della band è ulteriormente confermato dalla sempre ferrea intesa tra Harry Hess e Pete Lesperance, rispettivamente singer e chitarrista (oggi anche bassista e tastierista), unici due membri stabili della crew. Ciò che manca curiosamente è solo la tipica hit single orecchiabile: un bel grattacapo per una melodic rock band. Che sia una scelta consapevole per premiare l'omogeneità complessiva? Ma si dai, vediamola così. Mi sento di dire che questo "Thirteen" è un disco da difendere. Può ovviamente non piacere, può annoiare sicuramente gli estranei al genere e sfamare per giorni i detrattori. Ma c'è da apprezzare comunque la volontà degli Harem Scarem di fregarsene altamente del volto più effimero (ma oggi più importante, ahinoi) della musica, ossia la moda, e di suonare ciò che piace a sé stessi, dettando nel proprio piccolo le regole, con la consapevolezza che non sono Mark Knopfler e che pochi si cureranno di questo loro disco (l'interesse per la band è comunque rIsalito negli ultimi anni, come per tutto il movimento), che molto probabilmente finirà in poco tempo come uno dei tanti "ricordi distanti". Ma poco importa, nel presente vale la pena riascoltarselo ancora una volta.





01. Garden of Eden
02. Live It
03. Early Warning Signs
04. The Midnight Hours
05. Whatever It Takes
06. Saints and Sinners
07. All I Need
08. Troubled Times
09. Never Say Never
10. Stardust

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