Heads.
Debut

2015, This Charming Man Records
Sludge

Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 11/03/15

Negli Stati Uniti, patria indiscussa dei fumetti sui supereroi, la celeberrima casa produttrice di comics Marvel è solita pubblicare a cadenza irregolare una serie denominata “What if...?”, dove si immaginano scenari improbabili per i protagonisti dotati di superpoteri, come ad esempio cosa sarebbe successo se Spiderman fosse entrato nei Fantastici Quattro. Nel mondo musicale, purtroppo, questo bagaglio di fantasia è assai limitato: se volessimo sapere cosa sarebbe accaduto qualora un tale musicista fosse entrato in un gruppo diverso da quello di appartenenza, dovremmo presto rinunciare a soddisfare la curiosità (a meno di non essere tanto potenti da poter ordinare a Jimmy Page di imbracciare la chitarra e organizzare la reunion dei Pantera. Ma sto delirando).

Quando però ho iniziato ad ascoltare il debutto dei qui recensiti Heads. (no, non ho appena scritto un periodo senza senso, il nome comprende il punto alla fine), oltre alla parola “minestrone” mi è venuto in mente proprio quel senso di “what if” di cui sopra. Se la base musicale del trio australo-tedesco (il cantante e chitarrista Ed Fraser viene dalla terra dei canguri, la sezione ritmica è germanica, e ovviamente ha a che fare coi The Ocean) è inserita nelle coordinate sludge/post-, pur con variopinte fughe in ambienti noise e sperimentali, quello che fa drizzare fin da subito le orecchie è il cantato. Non il solito, generico scream/growl che ci si può aspettare, ma un vocione appena sporco che, non chiedetemi il motivo, mi ha fatto pensare in qualche modo a quei cantanti soft rock degli anni Settanta e Ottanta. Tornando al topic iniziale: cosa sarebbe successo se uno come Joe Cocker avesse cantato con una band sludge?

La risposta, appunto, è contenuta tra le pieghe di questo “Debut” (titolo di una fantasia abbacinante), che abbraccia la nostra cara musica fangosa mischiandola, come dicevo, con altri gustosi ingredienti. L'opener “A Mural is Worth a Thousand Words” per esempio presenta palesi echi stoner, in particolare evocando dei pesi massimi del genere come i Queens Of The Stone Age. E quella voce da rocker consumato ci sta che è una meraviglia, specie dopo aver assimilato del tutto l'effetto sorpresa. In qualche caso (“Black River”) le composizioni ricordano non poco i Neurosis, padrini incontrastati del genere, quando il cantato assume quei contorni più apocalittici che caratterizzano i lavori della band di Scott Kelly e Steve Von Till.

Nel complesso dunque il disco scorre bene, anche grazie al fatto di non essere troppo prolisso (soltanto sei tracce), e può rivelarsi un ascolto degno di nota per chi apprezza il genere e le sue sfumature meno attese. La prova vocale e la compattezza strumentale (da sottolineare il ruolo del basso, che sfrutta la formazione a tre per farsi portatore del sacro verbo del riffing) sono i fiori all'occhiello del gruppo, uno dei pochi a portare un pizzico di novità in un genere che si sta saturando a vista d'occhio; non stupitevi se vi troverete a premere ancora il tasto play una volta concluso il primo ascolto.




01. A mural is worth a thousand words

02. Chewing on kittens

03. Skrew

04. Black river

05. Foam

06. The Voynich manuscript

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