Ascoltando il nuovo lavoro delle Burning Witches, effettivamente il dubbio che le cinque ragazze rossocrociate abbiano compulsato più il manuale della perfetta NWBOHM che il Malleus Maleficarum arrovella infingardo il nostro animo. Perché "Hexenhammer", pur molto curato nella produzione e dal sound decisamente moderno, paga un tributo evidente a Iron Maiden, Judas Priest e alla nutrita accolita di gruppi minori che velocizzarono quei riff settantiani scolpiti nella roccia hard/blues. Tuttavia, il combo recita con discreta sicurezza l'intramontabile canovaccio e, rispetto all'omonimo album d'esordio, concede maggiore spazio all'aggressività, componente che di certo aiuta, e non poco, a rendere il platter, benché non del tutto incisivo e riuscito, almeno scorrevole e vivace.
Le liriche, ispirate alla persecuzione delle streghe, che paradossalmente ebbe il suo apogeo durante il Rinascimento, non si distinguono per particolare audacia o novità, ma risultano attuali in quanto exemplum dei soprusi che oggigiorno subiscono le minoranze sparse nel globo. E così tra innocue spruzzate thrash, melodie d'impatto, chorus onnipresenti e ritmiche sostenute, le svizzere sciorinano il tipico campionario heavy metal: i tempi forsennati di "Executed", l'anthem da stadio "Open Your Mind", la ballad d'ordinanza "Don't Cry My Tears", la cadenza lenta e massiccia dell'iconica "Maiden Of Steel", le scale arabe abbozzate in "Possession", rappresentano le cuspidi di un lotto che altrove, purtroppo, tende a soffocare sé stesso in meccanici e ordinari cliché. Giudizio a parte merita poi la cover di "Holy Diver", interpretata con grande deferenza filologica; da sottolineare la prestazione di Seraina Telli, singer che, se nel resto dei brani mostra un piglio facinoroso, non disdegnando urla cavernicole disseminate qua e là, in questo caso abbassa i toni e cerca, oculatamente, di non strafare.
Volendo forzare un pò la mano (forse neanche troppo), potremmo considerare le Burning Witches la futura risposta femminile ai Night Demon: lo studio dei classici, la loro riesumazione, il rischio a lungo andare della sterilità compositiva, sono i tratti che accomunano due band che sembrano concentrate sul culto del passato invece che sull'evoluzione e la crescita della propria proposta. "Hexenhammer" resta comunque un opus gradevole, che trasuda energia ed entusiasmo da ogni nota: l'originalità, però, è ben altra cosa.