HIM
Tears On Tape

2013, Razor & Tie
Rock

Le "lacrime su nastro" non sono quelle di Ville Valo, ma le nostre...
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 24/04/13

Dove eravamo rimasti con gli HIM... ah già: alla ricerca di un minimo di ventata di novità che potesse giustificare la loro costante permanenza sul mercato, giusto. Quello, oppure un disco di solida ispirazione, che potesse non farci rimpiangere, per l'ennesima volta, "Greatest Lovesongs Vol. 666". Invero, prima di procedere all'analisi di questo "Tears On Tape", è bene precisare come lo scorso "Screamworks" sia invecchiato bene, merito di una vena pop tanto sottovalutata all'epoca in sede di recensione (e detestata dai fan intransigenti di prima data), quanto poi maturata negli anni verso un disco che sì, magari commerciale e fortemente voluto dalla major di turno, ma comunque melodioso, frizzante ed oggi ancora godibile a tre anni dalla sua nascita.

Bene, oggi la major non c'è più, gli HIM sono (in teoria) liberi di fare quello che vogliono, ci fanno aspettare un anno in più del canonico necessario, tutto questo per... il perfetto incrocio tra "Venus Doom" ed il capolavoro assoluto "Razorblade Romance". Dal primo, "Tears On Tape" riprende l'ispirazione dei Black Sabbath, dei Misifts e le chitarre ribassate, dal secondo l'intento melodico. Tutto bene, dunque? Mettendo da parte l'utopica pretesa della novità e mantenendo ben salda l'aspettativa dell'ispirazione, si potrebbe dire che sì, forse al primo, superficiale ascolto qualcosa pare funzionare, ma già dalla seconda "passata" questo inciso si dimostra rovinoso, tragico nel non saper ricavare il minimo sindacabile di potenza melodica e, per questo, tremendamente spompo nell'insieme. Non solo si arriverà perfettamente ad indovinare come la chitarra acustica si intreccerà a quella elettrica, non solo pericolose similitudini vi verranno sin troppo facilmente alla mente ascoltando la sezione ritmica ("I Will Be The End Of You" = "Right Here In My Arms"?), ma il vero dramma è che tutte le canzoni di questo disco sembrano le b-side scartate dagli HIM lungo gli ultimi anni di una carriera non certo brillante, perché è proprio la melodia a mancare, e non bastano i soliti miagolii e sospiri di Ville Valo o la tastiera finnicamente glaciale di Burton Emerson per mantenere alto il livello di un incantesimo che viene lanciato da sin troppi anni con una litania che, oramai, è più che stanca, nel suo essere scarsamente convincente grazie alla salmodiante e continua recita senza un minimo di convinzione o passione.

Se solo il disco avesse mantenuto un terzo del coraggio e del pathos che dimostra nei suoi assai interessanti intermezzi musicali (e, via, anche quel pallido brivido che ci coglie sull'accorata titletrack e su "W.L.S.T.D."), oggi potremmo concludere questo articolo in modo assai diverso, magari non limitandoci a dire che se proprio non avete mai ascoltato una nota degli HIM in tutta la vostra vita, allora forse questo disco potrebbe anche essere utile come spunto di inizio verso una discografia assai più intensa (soprattutto negli esordi). Invece, tocca scrivere che le "lacrime su nastro" non sono certo quello di Ville Valo, ma le nostre di ascoltatori, costretti ad attendere un tempo molto lungo per poco più di 40 minuti che arrivano a farti rimpiangere "Dark Light". Capite bene che è il colmo.




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