Hookworms
Pearl Mystic

2013, Gringo Records
Psychedelic Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 31/08/13

Nonostante l'era "social" abbia portato un numero enorme di artisti a condividere qualsiasi cosa con il proprio pubblico, continuano a non essere poche le band che amano costruirsi attorno uno studiato alone di mistero. Prendete questi Hookworms: nome preso in prestito da un verme parassita, identità dei membri accuratamente nascoste dietro le iniziali, titolo e copertina del debut album che paiono suggerire un certo esoterico misticismo, raffigurato in uno strano contrasto tra tante diafane stelline e un incappucciato e tetro figuro.

 

In effetti, nel sound di "Pearl Mystic" qualcosa di maligno e disturbato c'è. Ultima aggiunta a quel nutrito revival neopsichedelico legato a doppio filo alle plumbee marce degli Spacemen 3, è un disco che lancia l'ascoltatore in un opprimente, claustrofobico tunnel verso gli acidi anni 60 e verso un embrionico e aggressivo prototipo di punk, cullandolo con fluidissime bass-line e intere carrellate di graffianti effettistiche. L'impatto, tra "Away/Towards" e "Form And Function", è di quelli memorabili: un'esplosione di tinte sature, di decisi schiaffi di batteria, di voci sempre acutissime, spesso stridule, portavoci di un'affiorante rabbia e di un latente disagio esistenziale (ansia, depressione, bipolarismo sono, per ammissione dello stesso leader e compositore MJ, le tematiche centrali delle lyrics).

 

Tanto si resta spiazzati dall'iniziale intensità, tuttavia, tanto cocente è la delusione che si prova quando, assistendo alla progressiva e irreversibile scomparsa di una qualsiasi ispirazione, ci si rende conto di come la sostanza del disco sia contenuta quasi tutta nel duo d'apertura. Si prendano "Since We Had Changed" e "What We Talk About": un sound sempre soffocante, sì, adesso però per un'ingiustificabile indeterminatezza (nel primo caso), o per un'appiccicosa, leziosa sdolcinatezza (nel secondo).

 

Immerso in una monotonia in continua crescita (aggravata anche dalla presenza di tre intermezzi strumentali che fondono le tracce l'una nell'altra, diluendole e dilatandole più del necessario), "Pearl Mystic" somiglia fin troppo a uno di quei trip psicotropi che ti salgono troppo tardi, quando tutti se ne sono andati e sei rimasto da solo col tuo sorriso estatico e inebetito: succede che al primo sprazzo di lucidità ti rendi conto che da raccontare ti rimarrà ben poco, e che quella che sembrava l'assoluta pace dei sensi non è altro che un fastidioso, abulico torpore. E cominci a sperare che tutto quanto finisca il prima possibile.





01. Away / Towards

02. Form And Function

03. i

04. In Our Time

05. Since We Had Changed

06. Preservation

07. ii

08. What We Talk About

09. iii 

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