Houses
A Quiet Darkness

2013, Downtown Records
Dream Pop/Ambient

Recensione di Antonio Guida - Pubblicata in data: 15/11/13

Dexter Tortoriello e Megan Messina sono le “anime che abitano” gli Houses. Unito sentimentalmente ed artisticamente, il duo americano giunge alla Downtown Records pubblicando "A Quiet Darkness", secondo lavoro a distanza di tre anni dal debutto "All Night". Il nuovo parto discografico è un concept album i cui suoni originano in una dimensione fisica, la stessa che idealmente li ha ispirati. Lungo la Highway 10, negli Stati Uniti, appaiono, dislocate, case abbandonate a se stesse, che raccontano di vite. Dexter Tortoriello e consorte le occupano, più di una (precisamente undici, come i brani che finiranno sull’album), per estrarre dall’atmosfera i suoni dell’oscura quiete. Una tacita disperazione che descrive i protagonisti del concept: una coppia divisa da un disastro nucleare, che tenta di ritrovarsi in un ambiente post-apocalittico decisamente ostile.
 
Gli Houses entrano nella storia fisicamente, approcciando spiritualmente l’ambiente da cui fluirà il loro sound. Risultano infatti lontani dai ‘musicisti di mestiere’ e dai suoni robusti di una rock opera; il loro svolgersi è fatto di suoni naturali, registrati in loco, magniloquentemente rieditati in studio. Minimal, ambient, loop elettronici, percussioni acustiche e rumori di fondo guidano la produzione verso la naturalezza, scevra di ridondanti sovraincisioni. L’unico brano che ha parvenza di un pezzo rock è il primo, "Beginnings". In cinque minuti introduce l’ascoltatore alla pellicola con la voce di Tortoriello in primo piano che recita la fatica, i muscoli che cedono su un beat come una marcia watersiana. Proprio dalla mastodontica opera del 1979 “The Wall” i suoni vengono scelti come in un campionario, introducendo il dramma, la separazione, il dolore che si intaglia sotto pelle per ogni riff eseguito. La voce di Messina sussurrante amplifica la sensazione di vuoto e smarrimento; subito le chitarre elettriche si dissolvono lasciando spazio a soluzioni d’ora in poi elettroniche ed acustiche. Le ritroveremo però in "Peasants", dove i Radiohead elettronici accompagnano le sei corde con caratteri propri dello shoegaze. Quest’ultimo è probabilmente il brano più ricco come spunti sonori, forse l’unico che estrapolato dal contesto gode di identità propria. Degno di nota è "Big Light", in cui il riverbero del pianoforte iniziale ci descrive gli spazi in cui vengono diffusi i suoni, disegnandoci con tale effetto acustico l’architettura intorno. Le parole di Dexter contribuiscono ad accendere vividamente le immagini:

"I was stuck in the ground/ Trying to cover my eyes/ Trying to move all this light/ I spent all night/ Trying to remember your face/ Like trying to get blood from a stone/ But there was nothing to save/ And no one to lie to/ And I watched as the bone dust hung in the sky/ Like a dim flock of endless prayers/ And I spent my days out chasing the wind/ Trying to turn gold from your hair/ But there was nothing to save/ In the flux and decay/ Of the changing winds"

Il lavoro si mantiene su down-tempo valorizzando voci e aperture melodiche di synth come nella strumentale "The Tired Moon", in "Tenderly" oppure in "What We lost". La qualità dei brani è alta, l’energia intensa ma non affidata, come precedentemente accennato, a suoni aggressivi. Somiglia più alla forza dell’aria che mantiene sospeso un parapendio, negli impercettibili cambi di quota le sensazioni interne mordono accelerando il battito. "The Bloom", lo strumentale che introduce con eleganza la title-track, ne è il chiaro esempio. L’ultimo brano chiude la ricerca del protagonista e con essa ogni speranza; egli insegue nei sogni il conforto ai propri pensieri bui ("In dreams/ There's a way/ To die").

"A Quiet Darkness" può essere valutato da diverse prospettive, non trascurando la sensibilità dell’ascoltatore. Qui si è lontani dal canonico concept album: dal nulla si tenta di creare un’opera cinematografica attraverso metodi non convenzionali. Niente suoni epici, orchestre, scenografie. Il disco si identifica con l’aria nella distanza che separa, nella soavità dei suoni, nel trasporto equilibrato di emozioni verso una serena malinconia ed un barlume di speranza.



01. Beginnings
02. The Beauty Surround
03. Big Light
04. The Tired Moon
05. Peasants
06. Carrion
07. What We Lost
08. Smoke Signals
09. Tenderly
10. The Bloom
11. A Quiet Darkness

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool