Trent Reznor è indubbiamente una figura fondamentale del rock degli ultimi vent’anni. Da giovanissimo prodigio del pianoforte, Trent finisce presto per sostituire l’avorio con la plastica, chinandosi sui tasti dei sintetizzatori e diventando un acclamato genio dell’industrial, riuscendo nella pionieristica impresa di insinuare un’inedita sensibilità tra stridii meccanici e chitarrone pesanti. Personalità complicata e problematica quella del musicista statunitense, da moderno e cibernetico poèt maudit: è essa stessa fonte d’ispirazione per la cruda e autolesionistica storia di Mr Self Destruct, raccontata nel capolavoro indiscusso “The Downward Spiral”, pubblicato con i Nine Inch Nails. E’ subito un successo enorme con la nascita di una sconfinata fan base, disposta a perdonargli attese enormi per i successivi capitoli della discografia, mai rivelatisi all’altezza degli sfolgoranti esordi. Con la maturità, Reznor comincia a dedicarsi a progetti diversi: un impegno sempre maggiore nella composizione di colonne sonore, e per ultima la creazione degli How To Destroy Angels, insieme alla moglie Mariqueen Maandig e ai fedelissimi collaboratori Atticus Ross e Rob Sheridan.
"Welcome Oblivion" è il primo full lenght pubblicato dalla nascita del quartetto, e segue l’EP eponimo pubblicato nel 2010 e "An Omen_", uscito lo scorso anno, dal quale preleva quattro tracce. Se l’EP d’esordio era ancora fortemente legato a quanto fatto dai NIN, il successivo e l'album se ne discostano con decisione, prendendo piuttosto parecchi spunti da quanto fatto da Reznor come autore di soundtrack. Il canovaccio, sicuramente non di facilissima assimilazione, prevede sonorità liquide, appiccicose, a tinte quasi esclusivamente elettroniche, che esce del tutto fuori dagli ambiti di competenza del rock. L’unico pezzo ad aderire ad una forma canzone classica è il fuorviante singolo “How Long?”: un sound smaccatamente pop, easy-listening, con vocals pulite e ammiccanti a opera della Maandig. Le caratteristiche delle restanti tracce sono completamente differenti, con le voci dei coniugi Reznor che si fondono insieme, formando linee vocali effettate e spezzettate, fatte ora di atoni sussurri, adesso di stridenti acuti, dispiegate su loop di synth disturbati e rumorosi, con qua e là qualche pennellata più larga di tastiera ad abbozzare foschi contorni di paesaggi post-apocalittici, o qualche sporadico, sferragliante vagito di chitarre filtratissime, qualche solitaria nota di piano.
Il lavoro degli How To Destroy Angels è angosciante, estenuante: richiede una dedizione estrema per l’ascolto. Un disco che contiene atmosfere che riescono in parecchi casi a coinvolgere ed emozionare, con la loro inquietante ombrosità. La prima metà del disco, infatti, pur inciampando in momenti fuori luogo come l’incomprensibile e malriuscita deriva folk di “Ice Age”, viene tenuta a galla da momenti d'indiscutibile efficacia: la cinematografica “And The Sky Began To Scream”, minacciosa come il titolo promette, le vocals graffianti della riuscita title track, le frasi smozzicate sparse sui synth balzellanti dell’introduttiva “The Wake-Up”. A partire da “We Fade Away”, però, si ha un vero e proprio crollo verticale, e l’album si perde nelle lungaggini di quattro tracce ripetitive, noiose, vuote: più di venti minuti di materiale che palesano una clamorosa assenza d’ispirazione. E anche le vocals della Maandig si scoprono presto troppo piatte e prive di colore: è impietoso il paragone, che sorge spontaneo, con la strepitosa prestazione, fatta di urla e spasmi orgasmici, che Klaren O (degli Yeah Yeah Yeahs) aveva sfoderato nella cover di “Immigrant Song” realizzata da Reznor e Ross per The Girl With The Dragon Tattoo.
Un album estremamente altalenante, quindi, che pur essendo egregiamente prodotto e risultando deliziosamente ansiogeno in molti passaggi, presenta cali di qualità inaccettabili, che non gli permettono di elevarsi al di sopra di una risicata sufficienza. Il potenziale della band poteva e doveva essere sfruttato molto meglio: allo stato attuale dei fatti gli How To Destroy Angels non hanno le carte in regola per essere qualcosa di più di un semplice riempitivo, per i fan, delle lunghissime attese tra un disco e l’altro dei Nine Inch Nails.