Hurts
Exile

2013, Sony Music
New Wave

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 11/03/13

Ora: non è che per fare una critica efficace del debutto discografico del duo inglese Hurts servissero chissà quali abilità censorie, perché quando ti ritrovi per le orecchie un disco fatto di belle canzoni dall’inizio alla fine, chiunque non può che arrendersi, semplicemente, agli elogi. Questo era il potere di “Happiness”: neanche l’intenzione di mescolare la più pura wave ottantiana - manifesta anche nell’immagine del duo - ad un senso electro pop totalmente ‘10s, quanto più semplicemente la linearità ed estrema efficacia della linea melodica delle composizioni di Theo ed Adam, il groove vorticante ma per nulla scontato. Oggi, tre anni dopo il folgorante inciso, ci ritroviamo per le mani il suo esatto rovescio (anche nel cromatismo della cover: dalla primavera-estate del catalogo Calvin Klein, all’autunno-inverno), per cui possiamo parlare con tutta tranquillità di un lavoro composto da brutte canzoni.

Avete ragione, “brutto” e “bello” sono aggettivi da bandire in qualsiasi recensione, per cui cominciamo a dire che in “Exile” la maggior parte dei brani ricorda l’associazione tra i Depeche Mode e qualcun altro: Depeche Mode e Muse sull’incipit rappresentato dalla titletrack, Depeche Mode e Coldplay nel singolo “Miracle”, Depeche Mode e Beyoncé (!!!) su “Sandman” (qualcuno ci spiega i fischi ed il coro di voci bianche?), Depeche Mode e finanche Hurts stessi su “Only You”, dove la base ritmica ricorda sin troppo l’hit single “Wonderful Life”. Poi, quando gli Hurts non sono impegnati a scimmiottare gli artisti contemporanei da top 40, abbiamo canzoni semplicemente deboli ed inefficaci, come la ballad priva di mordente di “The Crow”, la tensione oscura che non decolla su “Mercy” o, più semplicemente, la banalità più pura e cristallina (“Blind”).

Tutto da buttare, dunque? No, due uniche eccezioni: il romanticismo degli HIM riletto in chiave industrial su “The Road” e la conclusione epica e drammatica di “Somebody To Die For”, dove puoi scorgere di nuovo gli Hurts che furono, quelli da lancio delle rose di fronte a schiere di ragazzine (e non solo) urlanti in uno scenario tanto gotico quanto piacevolmente svenevole. Ma è davvero troppo poco per salvare “Exile” dall’aggettivo “catastrofico”.

Giravano voci nella rete su un calo di ispirazione che aveva colto gli Hurts al termine dei trionfalismi di “Happiness”, spiace vedere concretizzati i più sordidi timori in un’opera discografica di questo calibro. Ora, ai Nostri non rimarrà che cercare quel miracle di cui cantano bellamente nel singolo attualmente in rotazione nelle radio, altrimenti non ci rimarrà che considerarli l’ennesimo fuoco di paglia di questa scialba contemporaneità musicale. Che peccato…

P.S. Del disco esiste anche una limited edition con quattro bonus track e DVD, per i più coraggiosi e masochisti. E poiché in questo capoverso si parla dell’arte di raggiungere piacere fisico nel dolore, scordatevi di trovarvi di fronte a “scarti” di qualità come nell’epoca di “Happiness”, dove ogni nota partorita dagli Hurts era puro oro nero e sintetico, anche quando loro non la consideravano degna di essere messa su cd.




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