Il barocco duo pietroburghese, che da una decina d'anni unisce la vocazione classica del talentuoso pianista Gleb Kolyadin e l'incantevole voce di Marjana Semkina ad un orientamento prog rock più contemporaneo, abbraccia proprio la tradizione ottocentesca (di Schubert, in particolare) nel proporre un concept "spezzato" in due cicli di 5 tracce, significativamente allineate in modo da essere ascoltate tutte d'un fiato. Si tratta, tuttavia, di 10 diverse storie di stampo vittoriano - appunto - che raccontano la crudeltà e l'indifferenza di un mondo non così lontano nel tempo e, secondo la Semkina, ancor meno nella maturità emotiva dell'essere umano. Il disco raccoglie infatti il punto di vista di chi soffre e, all'interno di un tale contesto, sente le proprie grida soffocare sempre più fievoli dentro di sé.
L'atmosfera di "The Bell" è accompagnata per mano dall'interpretazione della giovane vocalist russa, sempre più rispettosamente sottratta ai paragoni illustri da sempre attribuitile e orientata verso una chiara e distinta personalità canora. L'apparente tranquillità che caratterizza l'incipit in medias res di "Freak Show" trova presto la sua strada verso crescendo d'intensità che appesantiscono la mano di Kolyadin sui tasti e favoreggiano l'inserimento dei numerosi strumenti imbracciati dai vari ospiti del disco. Così, tra il tono pungente della chitarra elettrica di Vlad Avy e la solennità conferita dagli archi della St. Petersburg Orchestra ‘1703', si snoda il disperato messaggio della prima parte del disco, giungendo fino al climax di rullante ed archi di "Six Feet".
Ma non importa quanto a fondo ti trovi, quanto disperata sia la tua situazione, puoi ancora tirare quella cordicella e chiedere l'aiuto di qualcuno. Così il singolo "Ghost Of A Story" getta un po' di luce in apertura di un secondo atto che prosegue senza stravolgere il tema dell'album, ma lasciando intravedere una possibilità di salvezza che deve partire dall'interno ("Song Of Psyche") prima che dagli altri.
"The Bell" da ottima continuità agli eccellenti lavori del duo pubblicati in precedenza - "Lighthouse", tra tutti - basandosi su uno stile consolidato e maturo. Sebbene, infatti, non vi siano sostanziali novità nel sound, la costruzione dei brani sembra avvalersi sempre più di quelle che sono le caratteristiche di questi due artisti, che sono uniche nel panorama musicale. Tramite un approccio forse più diretto e meno complesso, Kolyadin confeziona il suo virtuosismo classico costruendo paesaggi in cui la voce di Marjana Semkina può esprimersi al meglio delle sue potenzialità, senza più la paura di sentirsi troppo Kate Bush o Tori Amos.