Pain Of Salvation
In the Passing Light Of Day

2017, InsideOut Music
Progressive Rock/Metal

La tanto attesa decima fatica in studio dei Pain Of Salvation è un disco per coraggiosi. Uno di quelli da ascoltare “ancora una volta”. Uno di quelli che cambia faccia ascolto dopo ascolto. Un ritorno alle origini per Gildenlöw e soci, un lavoro in cui la maturità raggiunta nel corso degli anni si coniuga con l'energia dell'innovazione e della sperimentazione continua: chiamiamola anche "natura progressiva".
Recensione di Cristina Cannata - Pubblicata in data: 12/01/17

È finalmente giunto il momento del tanto atteso e agognato ritorno dei Pain of Salvation: dieci brani per circa 70 minuti di musica che prendono il nome di “In the Passing Light of Day”.
Attenzione però, questo non è uno di quei ritorni attesi, dovuti, scontanti. È piuttosto un “ritorno importante”, trascendendo dalla banalità di cui il termine “importante” spesso si veste.

Premessa: i Pain of Salvation difficilmente propongono al proprio ascoltatore un’esperienza semplice, tutt’altro, ma questo album ha davvero superato tutti i pronostici in termini di complessità di approccio, ascolto e comprensione. “In the Passing Light of Day” è davvero un disco difficile. E non solo in termini meramente musicali. D’altronde, ingenui, cosa ci si poteva aspettare da una mente chiamata Daniel Gildenlöw?
 
Si riprenda però adesso l’accezione “ritorno importante” usata qualche riga fa. “In the Passing Light of Day” è importante perché arriva a distanza di 6 anni da “Road Salt Two”, ultimo vero (se si esclude “Falling Home”) lavoro della band.
“In the Passing Light of Day” è importante perché arriva dopo diversi terremoti di line-up tra il 2011 e il 2012 che hanno visto teste e mani geniali andare e altrettante teste e mani geniali arrivare, sancendo una solidità invidiabile della formazione attuale che vede accanto al frontman Gildenlöw, la interessantissima new entry Ragnar Zolberg (chitarre e voci), Daniel Karlsson alle immancabili tastiere, Gustaf Hielm al basso e Léo Margarit alla batteria. Assolutamente palese e d’impatto è la sintonia tra il frontman e Zolberg, definito da alcuni esponenti della vox populi come il supplente agli “acuti acutissimi che Daniel non riesce più a fare così tanto bene”, garantendo la continuità dell’altissima estensione vocale tipica della musica dei Pain of Salvation; sintonia al punto che Gildenlöw ha ceduto la sua assoluta (o quasi) patria potestà sul processo creativo, concedendosi ad un co-writing non solo dei testi, ma anche della musica in sé.
“In the Passing Light of Day” è importante perché segna il ritorno dei Pain Of Salvation, dopo il riuscitissimo esperimento di "Road Salt One" e "Two", al loro sound originario, quello del primissimo “Entropia” o di “The Perfect Element Part One” o di “Be” o di “Remedy Lane”. Per intenderci, quel misto di innovazione azzardata, sperimentazione progressiva, combinazioni geniali di elementi semplici che si fondono realizzando l’impensabile, l’utilizzo estremamente saggio di tecniche vecchie e nuove che, insieme al fatto che ogni loro disco è un concept album, hanno messo la band su una nuvoletta che li ha trasportati dritti dritti alle porte dell’Olimpo del Prog. C’è molto del passato in questo nuovo lavoro: le melodie ricordano molto “Entropia”, riff presi da “Remedy Lane", chicche da "The Perfect Element". Un inno al passato insomma, una combinazione tra la maturità raggiunta nel corso degli anni dalla band con l'energia dell'innovazione e della sperimentazione continua: chiamiamola anche "natura progressiva".
"In the Passing Light of Day” è importante perché arriva dopo un reale e concreto rischio che nessun altro disco dei Pain of Salvation sarebbe più arrivato. E questa è un po’ la materia sulla quale tutto il lavoro prende forma. Daniel Gildenlöw era stato infatti colpito nel 2014 da fascite necrotizzante che lo ha costretto a mesi e mesi di cure e di ospedale prima di proclamare lo scampato pericolo.

L’intero disco verte quindi, sia musicalmente che a livello di testi, sulla near death experience di Gildenlöw. Morte, oscurità, ansia, frenesia, paura, insicurezza, espressi con i suoni e con le parole, si alternano a lampi di speranza, di volontà, di luce. Già perché è impossibile qui ragionare solo in termini di musica: il testo è inscindibile da ogni singolo elemento musicale presente nel lavoro. È uno di quei lavori da ascoltare in due direzioni: per cogliere ogni singolo significato della musica devi capire il testo, per capire ogni singola parola devi capire la musica. Non si scappa.

L’album si apre violentemente, catapultandoci in una stanza d’ospedale, con “On A Tuesday”, un’altalena frenetica tra riff pesantissimi, una batteria arrabbiata, la voce sensuale e calma di Gildenlöw, ed un piano -elemento ricorrente- sempre lì pronto a calmare gli animi inquieti. Oltre ad un ritornello di impatto, ciò che l’orecchio immediatamente percepisce è la presenza di interferenze, di glitch, che provocano un’istantanea sensazione di ansia e terrore, disegnando nella testa un’immagine terrificante: la vita appesa ad un filo, ogni tanto arriva la corrente, ogni tanto no. Questi, come rumori metallici, sospiri, voci di bambini saranno un elemento ricorrente nell’intero lavoro: si sentono i profumi d’ospedale, della paura, delle lacrime. Insieme alla brutalità degli strumenti, questi elementi realizzano uno scoppiettio di emozioni oscure, ansiose, pesanti. “Tongue Of God” rassicura il tutto, almeno all’apparenza, con un’intro di  pianoforte seguito poi da basso e oboe, che imbrogliano l’ascoltatore creando una profondità che conduce presto ad un plot twist heavy, ammorbidito solamente alla fine dai bisbigli della voce. “Meaningless”, primo singolo estratto, è sicuramente il brano più catchy dell’intero lavoro; vede la forte presenza di Ragnar, che non manca di dar prova delle sue alte capacità di estensione vocale, ma anche di scrittura. Sacrilegio, penserebbero gli affezionati: Gildenlöw che concede di mettere su un suo disco un brano che non è suo? Ebbene sì, perché in realtà questo brano altro non è che una reinterpretazione di una canzone già pubblicata da Zolberg con il suo gruppo precedente (i Sign). A seguire “Silent Gold” e “Full Throttle Tribe”, la prima molto dolce, in cui piano e la bellissima voce di Gildenlöw sono i veri protagonisti, tutto il contrario della seconda, un ritmo incalzante e veloce, tempi dispari, melodie strane disegnate dalle tastiere e una voce rapping provocano una estrema confusione di emozioni che viene razionalizzata con “Reasons”, secondo singolo. Ed è qui che emerge tutto lo sperimentalismo dei Pain Of Salvation, nella loro pura essenza prog, con uno dei riff più pesanti dell’intero lavoro. Un buon groove, un coro di voci alla "Bohemian Rhapsody" e delle influenze degli Yes infiocchettano uno dei brani più rappresentativi del lavoro, uno di quelli più vicini ai primi tempi della band. I ritmi iniziano a smorzarsi e si fanno meno arrabbiati con “Angels Of Broken Things” e “The Taming Of The Beast”, brani che preparano l’ascoltatore allo stato d’animo che dovrà tenere per le ultime due track. Emerge qui l’ideale divisione del disco in due parti: la pesantezza della morte, il sound heavy, arrabbiato, energetico e ansioso lascia il posto alla consapevolezza della salvezza, la luce, l’uscita, il rilassamento. Si percepiscono adesso sonorità più vicine a “Road Salt”. “If This Is The End” e “The Passing Light Of Day”, sono la perfetta chiusura dell’intero lavoro; in particolare gli ultimi 15 minuti caratterizzati da twist continui tra il duro e il soft, che alla fine però si concludono nella maniera più calma possibile. Un testo significativo, una dichiarazione d’amore. I due capi del cerchio si ricongiungono: il titolo ricongiunge a se stesso.
 
"In the Passing Light of Day" è davvero un disco difficile. Uno di quelli da ascoltare “ancora una volta”. Uno di quelli che cambia faccia ascolto dopo ascolto. Tipico della band svedese: loro sono capaci di apparire prima in un modo, poi in un altro. Da sempre caratterizzati da una altissima profondità espressiva e di pensiero, la sperimentazione creativa qui esplode in una cozzaglia di elementi contrastanti che, nella loro semplicità, si combinano a creare un risultato unico, strano, che "inquieta" e che fa riflettere. "In the Passing Light of Day" è davvero un disco difficile perchè profondamente personale, ma per davvero. E nonostante il frontman ci abbia storicamente abituato alle sue poetiche scure, piene di emozioni e di situazioni abbastanza disperate, questa vince a mani basse. "In the Passing Light of Day" è davvero un disco difficile.



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