Inior
Hypnerotomachia

2014, Autoproduzione
Prog Rock

Recensione di Valerio Cesarini - Pubblicata in data: 21/12/14

Inior è un progetto progressive di matrice italiana, realizzato da Marco Berlenghini e Flavio Stazi, con furore da Roma ma di respiro più internazionale che altro. L'album Hypnerotomachia è descritto dal duo come "The journey of a Human Being from the disgregation of the appearances of the contemporary society to the inner self": finora i prerequisiti per un po' di prog vecchia scuola (e cioè i nomi impronunciabili e le frasi intricatissime) ci sono tutti.


All'ascolto, comunque, Inior non è solo un intreccio di belle parole. Musicalmente ci troviamo di fronte ad un progressive decisamente melodico, pieno ma non opprimente, di ispirazione musicalmente settantiana con una punta di modernità negli arrangiamenti, anche sfiorando territori indie. A questo punto, già vanno fatti i complimenti a questi ragazzi per aver tirato fuori un lavoro assolutamente piacevole all'orecchio e, cosa importantissima, compositivamente non forzato. Notevole anche l'equilibrio fra le varie parti di ogni canzone, resa tale e con la C maiuscola proprio per la moderatio con cui si è saputo gestire ogni strumento: mai una chitarra sfacciata, mai un synth eccessivo. L'opening track è una mini-suite in crescendo che passa dai toni prog classici dell'inizio a un finale più moderno, più sul rock e condito da una certa dose di ben riuscita "epicità".
Il cantato più di tutto risulta ispirato al progressive dei primi anni '70, con tono aedico e fluttuante. Eppure è proprio il cantato a rappresentare il punto debole più duro ed evidente di questo lavoro: è pensiero di chi scrive che chi non sa cantare e non sa l'inglese, non debba cantare, tantomeno in inglese. Purtroppo la voce, per quanto di timbro non fastidioso, è piuttosto poco intonata, e totalmente priva di ogni tipo d'impostazione. E pur passando sopra ad un canto non perfetto (che andrebbe però "raddrizzato" nei cori pena un risultato dissonante) diventa decisamente fastidioso il fatto che la pronuncia inglese sia ai limiti dell'imbarazzante, il che rende il lavoro imperfetto, e le liriche poco credibili.


L'album scorre senza punti morti "nè vivi" a livello musicale, evolvendosi su territori talvolta più assimilabili a un rock medio-leggero dei giorni nostri ("Worn Out", "Stain Of Steel", "Ini.Or" e la sua cavalcata sui synth), talvolta di nuovo volando su atmofere sognanti ("Starslave"), per chiudersi come iniziato, con "Dust", dall'inizio classico e uno sviluppo decisamente più vicino ai giorni nostri, con un forte sentore Muse. Finito l'ascolto, il riassunto è tutto sommato decente, abbastanza pregi e alcuni difetti purtroppo non trascurabili. L'album è ben suonato e ben prodotto, la musica è studiata e piacevole, ma mancano momenti di stacco e il flow è un po' ridondante, nonostante l'apprezzabile spola fra generi; non è assolutamente presente, se non a livello di testi, il sentore di concept che si annusava all'inizio, ma questo non è tanto un difetto quanto un "vizietto" di molti progsters. Molto determinante per la valutazione di quest'album, come già ripetuto spesso, è stata la parte vocale, sulla quale non si può in nessun caso, purtroppo, chiudere un occhio.


Il critico ruffiano e velenoso per forza chiuderebbe così, chi scrive invece (dal suo piccolo, s'intende) consiglia e auspica una maggior ricerca vocale e uno studio sia finalizzato al canto in lingua sia all'impostazione tecnica, perchè la base musicale è di ottimo livello, sinceramente superiore a molti, molti altri prodotti.





01. The Paper Ship
02. Mu.s.e.
03. Stain Of Steel
04. Worn-Out
05. From Blue To Red
06. Starslave
07. Resilient
08. INI.OR
09. Dust

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