Poche cose spiazzano quanto prendere in mano un album di metallari statunitensi e trovarsi in quinta posizione sull'inciso una suite di otto minuti oscillante tra un metal spacey e uno sludge rabbioso, tra distensioni atmosferiche e declamazioni prima robotiche e poi arabeggianti, intitolata assurdamente "Sul Ponticello". E' un esempio emblematico di come, tra le tante positive peculiarità di "The Direction Of Last Things", quella fondamentale è proprio quella di saper lasciare a bocca aperta, di saper far emergere in ogni traccia quella folle, irresistibile stranezza che solo i più abili musicisti sanno maneggiare senza combinare imperdonabili disastri. 

Perché appunto gli Intronaut, muniti di un'ormai decennale esperienza, di un'insospettabile eleganza disseminata tra le maglie di una proposta comunque pesantissima, e di un'attitudine sempre viva nel cercare soluzioni mai provate prima, esordiscono in questo quinto album con spacconate distorte e growl violentissimi, in perfetto stile Neurosis, ma finiscono presto per stemperarle, dar loro valore in un contesto completo, cangiante, plurisfaccettato, stilisticamente impeccabile.

 

Con bridge clamorosamente jazz (da sentire e risentire gli sviluppi bassistici di "Fast Worms"), con distensioni di chitarre clean riverberate che ammiccano al post ("The Unlikely Event Of A Water Landing"), con brani più semplici dove le voci riescono anche a prodigarsi in un carezzevole, rilassante commiato (la conclusiva "City Hymnal"), prende corpo un disco di pregio assoluto, un'opera che può essere davvero considerata la definitiva consacrazione di una band che adesso si candida come vera protagonista del mondo del progressive metal.