Grandi esternatori di emozioni, i Jack Frost. Si distinguono infatti in spontaneità e sincerità nel comunicare le proprie sensazioni, nel cercare di mostrare il loro lato più umano quando non sono sopra un palco: paura, ansia, rabbia, dubbi e incertezze possono toccare chiunque. Se poi si presta attenzione al frontman della band Austriaca ed alla sua timbrica vocale, ci si accorge di quanto essa sia in realtà perfetta per esprimere tutto ciò in musica. E il tutto funziona, decisamente bene.
Le linee vocali di Manfred "Phred" Klahre sono cavernose e quasi parlate, trascinate e struggenti: rievocano nella memoria e non poco il leggendario cantautore statunitense Lou Reed e prima di lui l'amato "man in black" Johnny Cash. Il gruppo in questione è la possibile risposta a chi si è sempre chiesto come avrebbero suonato cantautori e bluesman, supportati da una band con sonorità decisamente più heavy. La risposta sembrava essere arrivata con "Lulù", disco nato da una insolita collaborazione tra Metallica e Lou Reed e prontamente stroncato da critica e pubblico, in quanto tale combinazione mancava della sintonia che avrebbe permesso la composizione di un disco quantomeno originale. Non è cosa semplice.
I Jack Frost che suonano in questo Melaina Chole danno vita a brani dai toni cupi e malinconici, dai tratti doomeggianti che sanno molto di gothic metal e si avvicinano nella composizione a soluzioni adottate dai Katatonia più recenti, come dai Paradise Lost di "One Second". L'album in questione contiene nove brani di media durata, molto simili tra loro in quanto ad atmosfera e tematiche: ritmi cadenzati e ben strutturati sono colonne portanti e d'effetto delle semi-ballads che fanno parte del lotto. Magnetiche, a tratti epiche e dai riff ipnotici e ripetitivi il giusto da far entrare l'ascoltatore in trance. Le chitarre non eccedono mai in quanto a tecnicismi, ponderano ogni riff ed assolo e niente è fuori posto, a riprova del fatto che per creare musica di impatto non c'è bisogno di inutili virtuosismi.
Melaina Chole dunque è un album molto malinconico in quanto a sonorità e concetti, i Jack Frost sembrano quasi raccontarsi in prima persona attraverso testi molto profondi ed introspettivi, cosa che accade nella splendida ballata "Loser In Your Eyes" o in "Half A Man". I Jack Frost sembrano quasi lottare in un forte dualismo tra una malinconia che aleggia cupa ed oscura e che deve convivere con il lato più melodico della band, il quale inevitabilmente irrompe ed emerge durante l'ascolto. Spesso brani cupi e pessimistici infatti non occludono una speranza di fondo che inaspettatamente si manifesta lasciando intravedere "un bagliore", quasi un monito nei confronti dell'ascoltatore: Non tutto fa male e non tutto è perduto, dipende da come si vuole interpretare un brano dal "finale aperto". Buona prova da parte della band austriaca, intelligente e ragionata, che riesce nell'intento di confidarsi con l'ascoltatore e comunicare tutto ciò che ha da dire. E non è cosa affatto semplice.