Jaco Pastorius
Jaco Pastorius

1976, Epic/Legacy
Jazz

Recensione di Federico Mainardi - Pubblicata in data: 29/01/14

Su SpazioRock non poteva mancare la recensione del primo album solista di Jaco Pastorius, capolavoro di quel genere che dagli anni ’80 venne definito fusion, ma per il quale è giusto rivendicare la piena inscrizione nel caleidoscopico mondo del jazz. Non ci accingiamo, dunque, a descrivere un disco duro e roccioso, bensì una scapigliata opera prima che, nondimeno, ha esercitato un’influenza enorme sull’universo del rock più tecnico e progressivo: ogni bassista che si rispetti conosce e venera il nome di Jaco Pastorius. Perché? Semplicemente, perché Jaco è stato il miglior bassista al mondo.

 

“Hi, I'm John Francis Anthony Pastorius, the best bass player in the world'': sembra che con queste implausibili parole il giovane e sconosciuto Jaco si fosse presentato, in una giornata qualunque della metà degli anni ‘70, ai mostri sacri del jazz allora in voga Rufus Reid and Ron Carter, i quali non lo avrebbero preso molto sul serio. Eppure il giovane virtuoso sapeva ciò che diceva, e quelle parole rimanevano inverosimili soltanto fino a che non lo si sentiva suonare il suo fretless bass home-made, ricavato da un comune basso Fender Jazz, come nessuno aveva mai immaginato che si potesse fare. Da lì a poco avrebbe avuto la possibilità di sfoggiare tutto il suo impareggiabile talento unendosi ai Weather Report, ed elevando immediatamente il loro sound a nuovi standard. Sarebbe allora decollata una carriera fulminante, fatta di concerti rutilanti, collaborazioni stellari (da Joni Mitchell ad Herbie Hancock) e apprezzamenti pressoché unanimi dalla galassia del jazz, ma anche di alcolismo e tossicodipendenza. Una carriera interrotta tragicamente dalla morte, sopravvenuta in seguito ad una brutta rissa fuori da un locale malfamato in Florida, in una notte dell’‘87. Jaco non aveva ancora 36 anni; moriva l’uomo, ma il suo stile aveva già assunto un’esistenza propria, perpetrata, da allora in poi, nell’approccio allo strumento di tutte le successive generazioni di bassisti. Sì, perché Jaco fu, per il basso elettrico, l’equivalente di ciò che fu Jimi Hendrix per la chitarra: colui che seppe rivoluzionare completamente la concezione dello strumento, lasciando un’impronta indelebile.

 

Prima di Jaco, il basso era concepito semplicemente come uno degli strumenti della sezione ritmica, responsabile della pienezza del sound e finalizzato al supporto dell’espressione melodica dei lead-instruments; con Jaco, forte di una formazione da batterista e animato da un temperamento impetuoso, forsennatamente dinamico, il basso acquisisce lo status di sezione ritmica tout-court. Basta ascoltare la prima traccia di questo “Jaco Pastorius” per capire che nelle sue mani il basso si rende in grado di dialogare con gli altri strumenti (in questo caso, one-to-one con le congas) in un modo del tutto inedito. Non è solo la tecnica, anzi non è per niente la tecnica, pur ineccepibile, a trasformare lo strumento di Jaco nell’anima guizzante della musica: è piuttosto la sua straordinaria sensibilità, unita al suo temperamento tumultuoso (quello stesso che lo portava ad avventurarsi lungo le spiagge della Florida durante i temporali, per ammirare il mare in tempesta) a fare la differenza, alterando le gerarchie convenzionali tra gli strumenti. Il nuovissimo, fenomenale e travolgente linguaggio musicale di Pastorius, fatto di frenetiche note singole, accordi e inaspettati armonici accostati con un’espressività sconvolgente, è proprio ciò che fornisce continuità alle tracce altrimenti eterogenee di questo debutto. Agli eccelsi musicisti che lo affiancano, peraltro, è lasciato ampissimo spazio: è il 1976, i tempi non sono ancora quelli in cui i bassisti vorranno sostituirsi agli altri strumentisti; il basso di Jaco rapisce, sconcerta e ammalia, ma senza monopolizzare la scena. Ecco l’ulteriore magia del suo tocco: lungi dall’aver bisogno, per risaltare, di un’amplificazione altissima o del silenzio degli altri strumenti, sa rivoluzionare il ruolo del basso nel tessuto musicale pur senza stravolgerne la trama; solo, in questa trama, un filo si colora delle tinte strabilianti della genialità.

 

A chi si avvii allo studio del basso elettrico e ascolti Jaco Pastorius per la prima volta, si prospettano due alternative: sarà travolto dal suo stile, ma passato lo stupore iniziale non potrà che provare un enorme stimolo; oppure, al contrario, non si stupirà, pensando che è esattamente così che vuol suonare: perché il linguaggio e la concezione dello strumento di Jaco sono penetrati in profondità nella musica d’oggi. Per questo il giovane e forsennato bassista va eternamente ringraziato.





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