Jimi Anderson, il cantante scozzese della band, è cresciuto ascoltando e amando il rock di band come Whitesnake, Dio, Deep Purple, ma ha amato soprattutto il rock AOR in stile Foreigner - è stato anche il cantante di una delle loro più note cover band made in UK -, Journey con spiccate influenze anche da parte dei Boston e dei Rush. Ognuna di queste band è ben rintracciabile all'interno del suo stile.
Continuando a tracciare la sua carriera possiamo vedere come la prima band, con materiale proprio, che tentò di spingere verso il successo non riuscì a scalare le vette. Dopo alterne vicende si sciolse, ma il sogno di pubblicare materiale proprio rimase, e così, dall'incontro con altri due valenti musicisti, nasce il Jimi Anderson Group, che oggi presenta il full-lenght d'esordio.
Con Greame Duffin alla chitarra solista e Sandy Jones al basso, batteria, chitarra ritmica, il leader può pensare unicamente ad essere la voce e prima forza compositiva. I musicisti hanno trovato il modo di far si che il loro sound risuoni ben amalgamato e faccia intravedere anche una buona dose di talento senza però esser riusciti a creare qualcosa di originale.
Ogni canzone, pur avendo dietro un retroterra di songwriting e missaggio originali, suona come qualcosa di più simile a una cover. Questo risulta massimamente udibile in "Oh Why" che, ad un ascoltatore disattento, potrebbe sembrare proprio una canzone delle band precedentemente citate. Senza tener conto di "Necessary People": la canzone ricorda fin troppo da vicino lo stile Rush. Nonostante la poca varietà compositiva la band compie anche qualche leggera incursione nel rock targato Whitesnake con il brano "Let's Get Serious" e s'immerge in rimandi anni '70 con "Welcome To The Revolution" e "Higher Than Higher". Due canzoni queste ultime che tra l'altro dimostrano la perizia del chitarrista Duffin.
Tra tutte spiccano la title-track e "Best For Me" che, senza tradire quanto detto finora, si dimostrano più ritmate e sornione delle altre riuscendo ad attirare un'attenzione che si era sopita, e la loro disposizione all'interno dell'album deve essere stata ponderata proprio per raggiungere questo scopo.
Si deve precisare come questo primo lavoro non spicchi per innovazione, ma allo stesso tempo bisogna sottolineare l'esecuzione senza sbavature di tutti i componimenti. Risultanto tutti ben eseguiti e dimostrano come il gruppo abbia esperienza; la voce di Anderson inoltre è perfetta per il genere che la band ha deciso di coltivare. Da ascoltare in attesa di un secondo tentativo che abbia più personalità.