Dopo quattro anni dall'ultimo successo "Fight For My Soul", Jonny Lang torna in pista con "Signs", un album volutamente autobiografico "ma non in maniera letterale" come ci tiene a precisare.
Un lavoro che sembra riportare il chitarrista alle proprie origini blues, quando esordì nel 1995 a soli quindici anni, senza perdere di vista la particolarità dello stile da soulman cantore di gospel. L'insieme crea un sound distorto, grezzo e trascinato. Un ritorno alle origini con uno sguardo al presente, perché dopo ventidue anni Lang conosce le regole del gioco, e per questo inserisce all'interno dell'album una canzone come "Last Man Standing", decisamente radio-frendly con il suo stile di puro rock che ricorda da vicino i Black Country Communion di Joe Bonamassa e Glenn Huges. "What You're Made Of" invece rieccheggia di ritmi funky che faranno scuotere i fianchi o almeno il capo agli ascoltatori.
Nonostante alcune sfumature accattivanti per il pubblico mainstream, Jonny mantiene il proprio stile, rimane fedele al proprio marchio di fabbrica. L'album si apre con "Make It More", acustica, in cui parla della sua abitudine di procrastinare, dell'essere "pigro" e dichiara che non sarà più così - lo speriamo, Lang assomiglia vagamente a George Martin per i tempi di attesa interminabili ai quali sottopone i propri fan - e si chiude con "Singing Songs".
Entrambe cantate splendidamente, mettono chiaramente in mostra le armi migliori del cantautore: il songwriting e una voce gospel perfettamente intonata. Non sarà un album che sprizza scintille, ma chiunque sia un appassionato non ne rimarrà deluso. I ritmi indolenti e grezzi che scorrono tascinati sono perfetti e saranno la chiave di volta adatta a catturare il cuore di chi voglia ascoltarlo.