Judas Priest
Redeemer Of Souls

2014, Sony
Heavy Metal

"I Judas sono finiti". Non scherziamo, dai...
Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 15/07/14

Ci sono dei bastioni al di là dei quali il sentiero si fa aspro, ricco di precipizi, passaggi scoscesi, rocce pronte a sgretolarsi e desiderose della sventura altrui. Facile è perdere l’equilibrio e precipitare nel baratro, e non è immune da questo pericolo neppure l’eroe che più volte ha percorso quella strada che separa la leggenda dal mondo consueto. Capita altresì che l’eroe, ormai divenuto e considerato leggendario, volgendo lo sguardo verso l’alto, si trovi d’improvviso nell’angosciante situazione di essere sotto l’affilata, decisiva, terrificante spada di Damocle, pronta a far di lui cadavere alla minima mossa falsa. E nondimeno pronto è il manipolo di detrattori professionisti che non aspettano altro di gettar fango sugl’ultimi momenti dell’eroe, rimpiangendo ipocritamente tempi ormai lontani.

 È una situazione in cui più volte si son trovati i Judas Priest nel corso della loro carriera, e più volte sono sfuggiti all’infausto destino, non senza illudere gl’avvoltoi con morti apparenti causate da “demolizioni” ad inizio millennio, per poi tornare in marcia per rimpossessarsi del trono di “Metal Gods”. Molti li aspettavano al varco, ed eccoci dunque alle prese con “Redeemer Of Souls”, un disco che porta con sé molte responsabilità.

Anzitutto, dopo un tour che avrebbe dovuto sancire l’epitaffio definitivo sulla carriera live di Rob Haldord e soci salvo poi ripensarci, dopo l’addio non senza polemiche di K.K. Downing, in che condizioni troviamo la band? E questo giovane chitarrista, Richie Faulkner, preso di peso dalla band di Lauren Harris (si, proprio la figlia del ben più famoso Steve), è stato messo lì giusto per fare il manichino e suonare a comando?

Già l’opener “Dragonaut” dovrebbe rassicurare i fan dei britannici, tra riff robusti ed assoli ben orditi, ma è con la successiva title track che i Nostri iniziano davvero a colpire allo stomaco: struttura granitica, gran lavoro di chitarre ed ottimo drumming, oltre ad una prestazione vocale che non punta a raggiungere le note più alte di questo mondo, ma che piuttosto cementa ancor di più la solidità e la compattezza del brano. “Redeemer Of Souls” è un macigno scagliato d’improvviso, l’inizio trionfale di una marcia di dannati che non vuol fare prigionieri. Ritroviamo sprazzi dell’Halford urlatore poco dopo, tra le valli dell’Aldilà pagano di “Halls Of Walhalla”, possente brano di sei minuti davvero ben strutturato la cui continuazione naturale, neanche a farlo di proposito (o forse si), è proprio la successiva “Sword Of Damocles”, futuro anthem con doppia cassa tritacarne ed eccellente stacco nella parte finale da urlare a squarciagola sotto il palco (come già detto, l'epitaffio della scena live è stato prontamente cancellato).

Questi quattro brani dovrebbero metter il cuore in pace a coloro i quali non aspettavano altro che l’uscita del disco per poter parlare di una band ormai finita, priva di ispirazione o capacità compositive. I Judas Priest invece dimostrano ancora una volta di saper giocare le proprie carte, sia buttandosi a capofitto sugli stilemi da loro stessi creati (“Cold Blooded”), sia divertendosi su cavalcate metal come “Down In Flames” e “Metalizer”. La vera punta di diamante dell’album, tuttavia, è l’affondo finale, la battaglia con cui Tipton, Hill, Travis, Faulkner e Halford ricordano a tutti che i Judas Priest sono più vivi che mai, combattivi e combattenti e con una potenza d’assalto sonoro micidiale. “Battle Cry” è un’epica epopea che vede i Nostri decisamente ispirati, aggressivi, in grado di intrecciare armonizzazioni e riff solidi come il cemento armato, uno tsunami di fiamme verso il quale si rimane attoniti, stupiti, ammirati. Infine, come è lecito aspettarsi alla termine della battaglia, ecco arrivare il “riposo del guerriero” con “Beginning Of The End”, melanconica ed ammaliante ballad dai toni onirici ai quali ci eravamo disabituati, è quasi un richiamo da altre dimensioni.

Sono presenti alcuni episodi che catturano un po’ meno l’attenzione (“March Of The Damned”, “Hell & Back”), ed ogni tanto si respira aria di déjà vu altrui (le chitarre di “Crossfire” richiamano molto “I” degli Heaven&Hell di Dio e Iommi), ma non si può certo parlare di giri a vuoto clamorosi: “Redeemer Of Souls” è un bell’album, fatevene una ragione.

La produzione granitica e possente dona risalto all’atmosfera belligerante degli inglesi ed al bel lavoro di chitarre. A tal proposito, nota di merito per il nuovo innesto Richie Faulkner, il quale pare non accusare la pressione del pur gravoso compito di sostituire lo storico K.K. Downing e realizza anzi una prestazione davvero convincente. Halford si avventura meno che in passato in rincorse verso vette tonali pazzesche, prediligendo un registro più basso e robusto. Gli anni passano per tutti, e se l’alternativa agli acuti continui è costituita da toni più gravi pur di conservare aggressività e compattezza, ben venga.

Chi si sente orfano degli scream pazzeschi di Halford troverà buoni appigli per lamentarsi vacuamente e per sfoderare la frase più vuota e stereotipata di questo mondo: “Non sono più quelli di una volta”. Per tutti gli altri, per gli estimatori dell’heavy metal e per chi ha capito ed accettato da un pezzo che certi ritmi e certe tonalità non si ripeteranno più a causa della naturale caducità umana (metal gods, ma pur sempre dalle caratteristiche umane), “Redeemer Of Souls” saprà essere un buon compagno di stereo: non delude, di tanto in tanto sorprende, ma quel che più conta è che conforta sapere che, pur non addentrandosi molto in ambienti nuovi, i Nostri siano riusciti a partorire una creatura musicale onesta, convincente, solida.

“Redeemer Of Souls” è un bell’album, fatevene una ragione.



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