Kasabian
48:13

2014, Sony
Pop Rock

Eez-eh listening, ma non troppo
Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 09/06/14

Agili cavalcatori di tendenze e agglomeratori di una sterminata tradizione di peculiarità da musicisti British (dalla maniacale ricercatezza iconografica, per arrivare a una sconfinata boria e arroganza) da un decennio i Kasabian rinnovano a ogni loro tronfia irruzione sul mercato una flebile speranza: sarà l'occasione in cui il loro pur sempre godibilissimo mix electro-rock abbandonerà la spesso fruttuosa ma troppo semplicistica pesca nel già sentito? Sarà la volta buona in cui gli immancabili, inverosimili proclami prenderanno forma in quell'opera da immortali leggende del rock quali loro sono pressoché certi d'essere?

 

Questa volta, però, essere ottimisti cominciava a diventare un atto di fede un po' più complicato: vuoi per il dichiarato intento di operare un reboot completo al groove delle origini (addio, acustiche ballate e coltissime citazioni che tanto preziosi avete reso "West Ryder Pauper Lunatic Asylum" o "Velociraptor!"); vuoi anche per il terrificante intento, confessato dal mastermind Sergio Pizzorno, di coniugare Led Zeppelin e Kanye West nello stesso album (avete capito bene, classic rockers: sbiancate pure); vuoi infine per quell'esplosione di tinte rosa fluo e di trendy #hashtag che hanno accompagnato il tremendo singolo "Eez-Eh", allegrotto ma (diciamolo, dai) squallido balzo nella discutibile grazia della dance anni '90.

 

Ma, dopo i pochi secondi dell'enigmatica intro "(Shiva)", il piglio con cui "48:13" si presenta ai nastri di partenza è elettrizzante, overpowered, da Kasabian al massimo della forma: con una dirompenza eguagliabile soltanto da classici del passato come una "Fire", "Bumblebeee" sciorina un repertorio di pseudo-cori da stadio su un mix clamorosamente aggraziato di riffoni di chitarre pesanti (eccoli, gli Zeppelin) e synth da cocktail party, prima che le urla dell'esaltante ritornello polverizzino il coinvolgente mantra "We're in ecstasy" di Meighan. E' però soltanto un attimo, un breve istante di disarticolata violenza; giungono subito ordinate sviolinate goticheggianti a guidare la cadenzata marcetta "Stevie", introducendo un'armoniosa sensibilità che diventerà tema principale dei brani più validi dell'album: così in "Glass", che concretizza il "back to the roots" dei testi verso tematiche di ribellione sociale (bistrattate negli ultimi dischi in favore di una maggiore propensione tanto alla love song quanto al semplice cazzeggio) affidandolo a un dolcissimo, struggente appello cantato da un Pizzorno in stato di grazia, prima che però un equilibrio quasi perfetto venga rovinato da uno scivolone verso un maldestro rap (eccolo, Kanye West); è così, stavolta senza sgradite "sorprese" conclusive, nella superba ballata "Bow", caldo abbraccio di dolcissimi synth, morbidi arpeggi, sognanti lyrics.

 

Sono spunti, quelli appena elencati, che parrebbero avere le carte in regola per dare il via a un nuovo e interessante corso, a un elettropop "easy" soltanto all'apparenza, dalle melodie quanto mai marcate e dal gusto teatrale quanto basta. Indizi che vengono dispersi, però, all'interno di una tracklist che in nessun'altra occasione si rivelerà all'altezza, tra inoffensive leziosità (la piatta, letargica "Explodes" o il down-tempo da dancefloor "Treat", pallidi riflessi degli splendori sintetici degli esordi) e inammissibili pasticci (il tremendo leitmotif funky di "Doomsday", o le svagate progressioni di chitarra di "Clouds"). "48:13" viene fuori, così, come la più classica delle occasioni mancate: un pessimo punto d'arrivo ma una possibile nuova ripartenza, in cui i Kasabian, svestendosi del facile citazionismo delle ultime fatiche, si rimettono a nudo, evidenziando tutte le loro debolezze conclamate e potenzialità mai pienamente sbocciate.

 

Si sa, il tempo è galantuomo, ma forse per Meighan e compagni sarebbe ora di sbrigarsi: un'anagrafica non più verdissima e una discografia ormai abbastanza nutrita indurrebbero a pretendere qualcosa di più di un'ennesima promessa da eterni enfant prodige.





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