C'è sempre una sorta di velo invisibile ma impenetrabile, mai pesante eppure chiaroscuro intorno alle uscite discografiche dei Katatonia. Un velo che potrebbe essere fitta nebbia svizzera, timida pioggia del nord Inghilterra, raffiche di vento sul nord Sardegna, ma l'atmosfera è sempre la stessa e chi segue la band lo sa bene e se ne circonda quasi in segno di raccolta. Giorni prima dell'uscita, ogni album ha sempre avuto quel curioso, caratteristico preambolo, nel tenere con il fiato sospeso chi è pronto ad assimilare quanto bolle nel calderone degli svedesi. Sarà l'avvolgente timbro di Jonas Renkse? I movimenti tumultuosi alla chitarra di Anders Nyström? Ci importa? Perché a quattro anni di distanza, il successore dell'enigmatico “The Fall Of Hearts” è avvolto da trame tutt'altro che simili o irruente.
“City Burials” ha cieli antracite e la fredda Stoccolma come principale musa ispiratrice, preziose collaborazioni che ritornano (Frank Default) e una linea up suddivisa tra i due membri fondatori il cui sodalizio non ha mai vacillato, due membri ben integrati già dai precedenti album (Niklas Sandin e Daniel Moilanen, rispettivamente basso e batteria) e un nuovo componente (il chitarrista Roger Öjersson). Sorprendentemente è l'amico di lunga data e curatore degli artwork Travis Smith a mancare: questa volta è compito del fotografo danese Lasse Hoile quello di immortalare il “Dead End King”. È subito chiaro come lo spettro sonoro viaggi sinuosamente tra passato e presente, incorporando elementi elettro-rock e se vogliamo darkwave, ma è pacato nell'approcciare sonorità relativamente recenti, soprattutto se lo si paragona ai ruvidi e ispidi movimenti di “The Fall of Hearts”.
È in Jonas Renkse che sembra qualcosa si sia smosso definitivamente; il cantante sembra infatti voler osare, rischiare e questa nuova inquietudine vocale regala all'ascoltatore sprazzi spudoratamente raggianti su registri vocali mai veramente esplorati. “Heart Set To Divide”, nella sua surreale attitudine, è il ponte stabile tra tutto quello che è stato ed il presente e mostra più la sua vena decadente piuttosto che svelare il pattern di un lavoro che ha brani del tutto variegati tra loro. “Behind The Blood” così come “The Winter Of Our Passing” sembrano contendersi il titolo di viavai ritmato dell'intero lotto, mentre “Lacquer” si mostra come ape regina dell'introspezione elettronica più pura. “Rein” è invece l'ode a vecchie sonorità katatoniane, mentre le sibilline melodie di “Vanishers”, accompagnate dalla cantante svedese Anni Bernhard, rimarcano come la band abbia sempre avuto un gusto sopraffino nella scelta femminile nei brani. “Untrodden” e “Fighters”, una dopo l'altra, sono invece veri e propri diamanti neri, entrambe caratterizzate da sonorità irrequiete ma carezzevoli, unite ad un certo dinamismo musicale e vocale che mai come oggi sembra innalzare la versatilità dei nostri andando a scovare la tiepida luce di una band cresciuta e maturata in un habitat emotivamente fosco.
“Remain where you are,
my love will protect you, always.”
Forse è proprio questa tenue e umida luce il vero successo di questo nuovo lavoro targato Katatonia, sapete? Perché i rischi possono essere cadute, il passato pur sempre navigato e il presente inesorabile, ma è sempre la luce a risplendere nel buio, e non resta che arrendersi alla consapevolezza che noi, creature chiaroscure, brilliamo solo se attraversate da entrambi.