Ma quando uno è artista e possiede quel tipo di sensibilità difficile da spiegare (figuriamoci da descrivere) non è facile staccarsi da ciò che ha colpito l’animo. Proprio il caso della Williams che, come da copione, è riuscita sì a presentare alcuni brani per il Festival dedicato a Sylvia Plath ma non ha abbandonato il progetto come previsto. Dopo aver composto qualche altro brano infatti si è ritrovata tra le mani un album, figlio dell’ispirazione appresa dalla Plath. In collaborazione con Ed Harcourt quindi, ha ben rileggato 9 brani, comprensibilmente legati dalla stessa anima tormentata e cupa, senza il timore di spaziare per lidi sonori molto diversi tra loro. Sussuri elettronici, riverberi spavaldi ed una voce, mai troppo presa dal “voler far vedere” ma dedicata all’interpretazione giusta per ogni brano. La chitarra acustica gioca un ruolo fondamentale così come l’intero comparto pianistico dove spicca la memorabile espessività di una “Cuckoo”. La tuonante passione mai troppo sdolcinata (“Tango With Marco”), l’oscurità che aleggia intorno alle partiture di “Battleships”, (schietta e vera nel cantare "all I wanna do is disapper..") o l’intimità chiaroscura di una chitarra ed una voce in “When Nothing Meant Less”. Dicevamo proprio che va dato merito a Kathryn Williams. Sì, proprio così. Soprattutto per esser riuscita a cogliere l’anima delle parole della Plath, mantenendo comunque una personalità artistica. Il merito di questo “Hypoxia” è proprio quel non scadere in facili soluzioni, sonore e letterarie. Perchè prima di condividere aforismi o frasi random rubate da contesti che non le vogliono veder strappate, bisognerebbe capire ciò che si sta strappando.