Kim Gordon
No Home Record

2019, Matador Records
Avant-rock/elettronica/noise rock

Dallo sguardo critico di Kim Gordon nasce un disco complesso, avanguardistico ed eclettico. "Lo so, sembra che sia una persona completamente diversa adesso, e probabilmente lo sono"
Recensione di Simone Zangarelli - Pubblicata in data: 16/10/19

Ci sono voluti 8 anni prima che Kim Gordon si cimentasse in un progetto musicale solista. Dopo lo scioglimento dei Sonic Youth nel 2011, una serie di peregrinazioni spirituali e non hanno guidato l'artista newyorkese nella scintillante Los Angeles dove è cresciuta. Il matrimonio con il chitarrista Thurston Moore dissolto insieme alla band, la loro casa a Northampton, Massachusetts, se l'è lasciata alle spalle portando con sé i pezzi frammentati di vita e carriera spesso imprevedibili e divergenti. Qui, nella città degli Angeli, nasce il disco senza casa, "No Home Record", il primo esperimento della Gordon di dare forma a una moltitudine di idee che l'hanno vista in questi anni impegnata trasversalmente in diversi ambiti artistici. 


Tre dischi insieme al socio chitarrista Bill Nance sotto il nome di Body/Head; una florida attività di artista visuale fino ad avere una mostra a lei dedicata a New York e a curare una personale collezione di capi d'abbigliamento; una breve parte nel film "Don't Worry, He Won't Get Far On Foot" di Gus Van Sant e, soprattutto, il suo libro "Girl In A Band" (2015) che ha raggiunto il primo posto nella classifica Bestseller del NY Times. Nelle pagine finali, Kim Gordon racconta del suo temporaneo soggiorno in un AirBnb (dettaglio non superfluo) in cima a Echo Park, prima di intraprendere l'occupazione a tempo pieno di ricominciare da capo la sua vita. Lì vicino conosce un uomo, sale nella sua auto, ci si apparta. Confessa al lettore con amare parole "Lo so, sembra che sia una persona completamente diversa adesso, e probabilmente lo sono". 

 


No Home Record è l'attestazione di un rinnovamento massiccio, che lascia stupefatti anche i fan di vecchia data. Grazie al sodalizio musicale col produttore Justin Raisen (collaboratore di Michael Stipe, Billy Corgan) nasce una nuova energia artistica che, come spesso accaduto nella carriera pluridecennale dell'artista, spinge dal basso. Molteplici strati di musica underground, passata e presente, si uniscono come placche tettoniche, aumentando l'energia sprigionata in superficie. Così col primo singolo "Murdered Out", uscito ben tre anni prima, Kim Gordon aveva già stabilito la direzione del disco. Ci sputa addosso la rabbia di chi si sente tradito, usato, abbandonato. Il pezzo strizza l'occhio all'industrial dei NIN ma anche ad alcuni momenti di "Goo", al contempo distanziandosene per le linee di basso più sinuose. Il richiamo all'arte popolare losangelina è fortissima: il murdering out è una particolare tecnica di customizzazione che rende le automobili prive di qualunque segno distintivo, completamente nere con i vetri oscurati. Il richiamo va alla Lowbrow art (detta anche Pop Surrealism) nata proprio nella capitale Californiana a fine anni '70. "You didn't even know who I became / Yeah, when you get black matte spray / What you get in the parking lot / Murdered out of my heart".

 

Ulteriore elaborazione è anche la traccia d'apertura "Sketch Artist", celebrazione della vita (e, inevitabilmente, dell'arte) in un teatro dell'assurdo che congiunge fumose sinfonie alternate a drop di techno brutali e improvvise, simili a tuoni che fracassano l'atmosfera.
La martellante techno-oriented "Don't Play It" sfrutta il sound losangelino come esasperazione per veicolare il senso di alienazione dalla realtà, prodotto del consumismo scelerato ("Where are my cigarettes / Those aren't my brand") e dell'idiosincrasia verso la normalità ("Gold and vanity / You can pee in the ocean / It's free"). Nel panorama politicizzato di oggi, dischi sull'attuale stato delle cose di certo non mancano, ma pochi riescono ad affrontare questi temi con arguzia ed efficacia come fa Kim Gordon. La superba "Air Bnb", al grido "Gonna set me free", è una schizofrenica sferzata rock atonale con richiami al post-punk. Ironizza sulla tossica tendenza alla "sharing economy", la quantificazione di ogni spazio, ogni minuto e ogni risorsa dell'individuo. Grazie ad un sound graffiante, viscerale e la linea vocale ansimante e oscura, Air Bnb è una delle canzoni più innovative della carriera della musicista americana.

 

L'ispirazione passa anche per i The Stooges grazie al punk arrabbiato e provocatorio di "Hungry Baby", dove al centro del mortale mirino di Kim Gordon troviamo le molestie nello star system ("touch your nipple / Pretend you're mine") accompagnato da un ritorno alle origini in chiave musicale. Traendo linfa dalle radici del femminismo, riesce ad essere diretta e allusiva allo stesso tempo. Di tutt'altro stampo "Cookie Butter", che suona come una discoteca berlinese ascoltata attraverso le pareti, un'ovattata sensazione di sospensione manda in trance grazie anche alla forza anaforica della ripetizione. Attraverso brevi enunciati, Gordon racconta una storia e al contempo si confronta con i problemi comunicativi che sorgono nelle relazioni interpersonali ("I was born / You die / I forget / You decide / You sick / I hide") all'interno di un minimalismo ipnotico.


La vera straordinarietà è l'incursione nella trap attraverso un'enigmatica "Paprika Pony", dove a brillare è indubbiamente la produzione di Justin Raisen grazie ad una base lo-fi di stampo chillwave. Certo è che la presenza dell'hip hop e del rap si riscontra anche nel passato dei Sonic Youth (guarda il duetto con Chuck D in "Kool Thing"). In questa traccia Gordon mormora, sussurra, la sentiamo passarsi la lingua sulle labbra su un ritmo minaccioso e affascinante che include anche la mbira, strumento percussivo africano. Un vero unicuum nella sua produzione artistica.


Le mille sfaccettature di No Home Record rivelano il lato più vulnerabile in "Earthquake", unico pezzo propriamente cantato, profondamente evocativo. Se ci si aspetta uno stile canoro da conservatorio si è nel posto sbagliato. Chiude il disco "Get Yr Life Back", vero e proprio manifesto del disco. La transizione è (forse?) compiuta durante questa voluttuosa discesa negli inferi dal sound no-wave, vicino al trip-hop degli anni '90, denso di riflessioni e spunti. Una sorta di riassunto ideologico che raccoglie passato e presente dell'ex Sonic Youth, per la quale il caos abbraccia la complessità, plasmandosi a vicenda e diventando materia sensibile.

 

Iconica e iconoclasta allo stesso tempo, Kim Gordon ci restituisce il quadro della cultura americana in declino, e lo dipinge con colori accesi e stile avanguardistico, a tratti decadente. D'altro canto, l'esperienza collettiva si intreccia con quella personale. Così No Home Record apre quasi uno spiraglio nella mente dell'artista, che cerca di dare forma all'inesplicabile andando a scandagliare i limiti dell'espressività, dove i confini sono più sfumati. Per entrarvi bisogna mettere da parte le etichette. Il pregio/difetto di questo debutto solista è il numero di interrogativi che lascia aperti, sicuramente più numerosi delle risposte date, ma d'altra parte permette di non esaurire completamente il significato come un qualunque prodotto usa e getta. Per questo possiamo parlare di essenza antisistema unita alla vocazione critica di un'artista che ha fatto della polemica il suo punto di forza. No Home Record mette in discussione tutto ciò in cui crediamo. Ci dimostra che l'arte nasce da una necessità inesplicabile, perché accanto alla componente razionale di ogni opera c'è sempre l'inafferrabile.





01. Sketch Artist

02. Air Bnb

03. Paprika Pony

04. Murdered Out

05. Don't Play It

06. Cookie Butter

07. Hungry Baby

08. Earthquake

09. Get Yr Life Bac 

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