Grazie a Metal Blade finalmente rivede la luce, a seguito di un lungo periodo di irreperibilità e speculazioni, "Fatal Portrait" (1986), l'LP d'esordio di King Diamond: una prova in studio uscita subito dopo la disintegrazione dei Mercyful Fate, e ora ristampata utilizzando esclusivamente i master originali. Un'occasione ghiotta, dunque, per riscoprire il contributo fondamentale fornito all'heavy classico dal cantante danese, artista capace di sciorinare tematiche occulte senza scadere nell'eccessiva pacchianeria - almeno rispetto ai Venom -, ricorrendo a un'immagine visiva di sé così teatrale e ricercata da divenire un modello iconico.
Ciò che oggi resta ancora nella memoria e nelle orecchie è la musica proposta dal signor Kim Bendix Petersen: se "Melissa" (1983) e "Don't Break The Oath" (1984) presentavano un metal molto tecnico e dalla struttura ritmica estremamente libera, ricco di assoli atonali e numerosi cambi di tempo, il debutto solista, anticipando gli sviluppi successivi, suona più snello e melodico, con qualche accelerazione di stampo power/thrash distillata in dosi omeopatiche. Muta, poi, il parterre dei protagonisti: Michael Denner e Tim Hansen accompagnano il Re Diamante nella sua seconda avventura, mentre vengono reclutati in formazione il batterista Mikkey Dee (dal 1992 dietro le pelli dei Motörhead) e, soprattutto, Andy LaRocque alla chitarra. Il nucleo che partorirà, di lì a poco, lo straordinario "Abigail".
La scaletta inanella tre pezzi da brivido, che, con la conclusiva e claustrofobica "Haunted", costituiscono un mini concept horror composto dal mastermind per la vecchia band: "The Candle", "The Jonah" e "The Portrait", risultano articolate, complesse, caratterizzate da un riffing leggermente meno affilato rispetto al vicino passato e da un clima generale inquietante e a tratti morboso. "Dressed In White" - anch'essa scritta a beneficio dei Mercyful Fate - "Charon", "Lurking In The Dark", "Halloween" e l'interludio strumentale "Voices From The Past", rappresentano, invece, il battistrada dell'immediato futuro: stretti tra l'istrionico falsetto del singer, i prelibati botta e risposta delle due asce e il sottofondo creepy dell'organo, i brani filano via tirati, accattivanti, in apparenza lineari, e percorsi da quell'umore gotico fine settecentesco che caratterizzerà l'intera discografia a venire.
Classe, senso della narrazione, atmosfere oscure: l'universo di King Diamond trova, in "Fatal Portrait", una prima incarnazione. Magari imperfetta e di transizione, ma terribilmente seducente.