Un preambolo, il nostro, che potrebbe sembrare una presa in giro, se non stessimo parlando di una band che ha rilasciato nel giro di nove anni una discografia immensa, che ora conta 16 lavori in studio, 2 EP e 7 live album. Una produzione mostruosa, che ha trovato il suo punto di picco nel 2017, con la pubblicazione di ben cinque album in studio tra febbraio e dicembre di quello stesso anno. Ecco perché una distanza di quindici mesi dal precedente "Infest The Rats' Nest" (2019) sembrano un'eternità nell'universo dei King Gizzard, seppur - va detto - questo tempo sia stato scandito dalla raffica di uscite che rappresentano la totalità del materiale live pubblicato ad oggi dagli australiani. Mesi questi che hanno riportato la mente e le energie di Stu Mackenzie e i suoi proprio a quel 2017 da record, la cui produzione - con "Flying Microtonal Banana" in testa - ha evidenziato alcune tra le caratteristiche cruciali e maggiormente identificative all'interno del vastissimo panorama stilistico dei Gizz. La psichedelia e l'approccio microtonale in particolare, tornano infatti protagonisti assoluti in "K.G.", all'interno di trame istintive e spontanee che sembrano unire le 10 tracce in un'unica grande jam session.
"K.G.L.W." è una breve opener sapientemente pensata per definire il mood di tutto il contenuto a seguire dell'album. Le stridenti melodie microtonali anticipano un mood orientaleggiante che si fa poi strada in "Automation" e "Minimum Brain Size". Il disco mette subito in chiaro la sua minima ma coerente cura della produzione, che risulta alquanto grezza in armonia con la schiettezza e semplicità di alcune tracce, come la citata "Minimum Brain Size", che proprio per questi motivi si rivela particolarmente efficace. In "Straws In The Wind", i richiami orientali si fondono con il country dell'antipodico far west, dando vita ad un brano più assimilabile a "Gumboot Soup" (2017), musicalmente forse più debole, ma efficace nel fissare un andamento suggestivo nella sua alienante ripetitività, fino ad incidere nella nostra testa la sua principale headline "Straws In The Wind, is it all ending?".
Tra il fuzz alla Black Sabbath di cui "K.G." è pervaso ("The Hungry Wolf Of Fate" su tutte), sbucano alcune tracce più avanguardistiche, nel pieno stile King Gizzard. È il caso di "Intrasport", forse la più vicina alle atmosfere synth-driven di "Fishing for Fishies" (2019), ma anche del piglio jazz della quasi zappiana "Some Of Us", incalzata dalla batteria.
Insomma, rispetto alla varietà e alla grande quantità di direzioni che i King Gizzard hanno proposto negli ultimissimi anni, "K.G." è un album più monolitico, dominato da temi ed intenti precisi. Volutamente scarno nella precisione stilistica e nella lavorazione dei pezzi, ci arriva come una onesta rivisitazione di "vecchie" sonorità della band, che ci portano sì indietro di diversi album, ma che alla fine risalgono a non più di tre anni fa. Il risultato è però anche arricchito dalle esperienze più recenti del sestetto, quanto messo in mostra nei due citati capitoli del 2019 è infatti tutt'altro che assente in questa release. "K.G." non sarà forse l'album definitivo dei King Gizzard & The Lizard Wizard, ma è senz'altro un album che ha il merito di essere tornato all'osso, alla più caratteristica radice della band di Melbourne: un disco suonato e diretto, che riesce a risultare coinvolgente nella sua quasi totalità.