L'ultimo album del progetto di Thomas può infatti essere visto come una colorata caramella di quelle che mangiavamo da bambini; per tutto l'ascolto (per niente faticoso) ci si trova appesi fra il sapore dell'ambiente musicale moderno e una miriade di retrogusti differenti, espressi fra la citazione goliardica e la semplice influenza. Sempre sotto una sana coltre lo-fi tanto cara all'indie, un riff sporco e fuzzy ci apre le porte verso questo piccolo melting pot fatto di intrecci di chitarre distorte malamente, voci distorte malamente, atmosfere distorte malamente. La titletrack si attesta come uno dei brani migliori del disco, un pop-rock ai limiti del bubblegum ma piacevolmente più raffinato, decisamente catchy (ma cosa non lo è in un disco che proprio di questo aspetto si fa forte?). Da qua in poi troveremo tributi e cenni ad una musica più pesante con "Headbanger", al pop più sfacciatamente leggero con "Sick Mind" o "Beautiful Thing", o anche un rock più raffinato con "Magic Mirror". Menzione a parte per piccoli bijou di rockabilly lo-fi, come "Demon From Hell" e la carinissima "I Love You Ugly", poco più di un minuto di testo divertente e leggero con una musica decisamente calzante e di vecchio stampo.
Si sentono i Rolling Stones sotto (ancora più) acidi in "Madness"; a seguire, un groviglio di suoni così "sbagliati" da essere giusti... ma ecco incredibilmente una luce nel tunnel: "The Eyes Of The Muse" si apre con gli accordi pacificatori di una chitarra acustica, prosegue con linee vocali leggere e melodiche, non c'è il tipico "sporco" del lo-fi, i riff sono molto carini, e anche le musiche evidenziano un certo studio che si discosta dal sentore glam e laid-back. Decisamente un ottimo momento dell'album per la canzone, la quale fra l'altro offre anche degli ottimi spunti dal punto di vista chitarristico, sia a livello di suoni (a dire il vero interessanti per tutto il lavoro) sia a livello tematico.
Se infatti è possibile giudicare un tipo e genere di album come questo anche dal punto di vista tecnico-musicale, "Black Moon Spell" è anche ben suonato: varietà di toni, atmosfere adatte, batteria aggressiva, effetti pertinenti.
Chiudono l'album due tracce variegate, come "Staircase Of Diamonds", addirittura di riminiscenze pinkfloydiane con tanto di assoli e atmosfere più piene, e "Eddie's Song", più sul versante rock: sono il sigillo su un disco non originale, non virtuoso, ma mai noioso, e quasi immune dalle critiche per il suo carattere così goliardicamente leggero, dove ogni errore può essere interpretato come un momento volontario e ogni raffinatezza come un effetto collaterale. E nulla più di questo stuzzica l'orecchio, al di là di qualsiasi altro orpello che un ascoltatore potrebbe mettere come ostacolo. Se questo non è un ottimo risultato nel campo indie, ditemi voi cos'è!