Il verbo ‘sperimentare' implica necessariamente la consapevolezza di assumersi un rischio: quello di fare i conti con l'insuccesso o di passare attraverso diverse fasi, anche scoraggianti, prima di arrivare ad un buon risultato. Questa regola vale tanto nella scienza quanto nell'arte, musica compresa. Cosa spinge quindi alcuni individui a mettere a rischio la propria posizione per spingersi verso territori ignoti? Forse un bisogno istintivo o forse una necessità di sopravvivenza.
Per i Korn potrebbero andar bene entrambe le risposte. Assoluti precursori di un genere innovativo e autentici trasformisti in grado di recepire gli stimoli provenienti da un mondo musicale in radicale trasformazione accostandoli al proprio sound, gli alfieri del nu-metal hanno vissuto la seconda parte della propria carriera all'insegna di significativi cambiamenti in seno alla band e cercando di reinventarsi musicalmente, tra alti e bassi, approfittando dell'esplosione commerciale di elettronica e dubstep.
Con il nuovissimo "The Serenity of Suffering" i Korn non vogliono compiere alcuna operazione nostalgia ne tantomeno spingersi ulteriormente nelle sperimentazioni compiute negli ultimi due album. Diluendo in una percentuale essenziale le derive elettroniche e riportando finalmente le chitarre al centro del disegno, il quintetto di Bakersfield confeziona un disco apparentemente semplice che invece si regge in piedi grazie ai suoi punti di forza: i riff del duo Head/Munky sono accattivanti e i ritornelli studiati per colpire al primo ascolto, senza dimenticare il prezioso lavoro svolto da Luzier e Fieldy nella sezione ritmica. Se poi ci si aggiunge un Jonathan Davis ispirato come non accadeva da tempo il risultato non può che essere positivo. E' proprio il carismatico frontman ad essere il vero valore aggiunto alternando l'ampia varietà dei suoi registri vocali alla perfezione, incantando quando ce n'è bisogno e ruggendo quando è il momento di assecondare la potenza dei riff.
La partenza di "The Serenity of Suffering" è esaltante fin dalle prime note: l'opener "Insane", "Rotting in Vain" e "Black is the soul" sono infatti potenziali classici destinati a finire a lungo nelle scalette dei concerti. Se questo non bastasse ecco anche la collaborazione di un pezzo da novanta come Corey Taylor che si presta in un affascinante duetto in "A different world". Senza entrare nel merito delle altre canzoni, è importante sottolineare come i Korn siano riusciti a trovare un ottimo compromesso tra la furia insana degli esordi ed una spiccata ricerca melodica senza rinunciare a colpire duro. La forma del linguaggio è diventata più semplice e fruibile per tutti, ma essere semplici a volte è un lavoro più difficile del suo contrario.
Impossibile poi non citare le due bonus "Baby" e "Calling me to soon" presenti nell'edizione deluxe tanto per rimarcare lo stato di grazia di una band che vuole riprendersi il trono.
Impossibile poi non citare le due bonus "Baby" e "Calling me to soon" presenti nell'edizione deluxe tanto per rimarcare lo stato di grazia di una band che vuole riprendersi il trono.