Non più l'imbastimento di trame complesse, tirate su alternando chitarristica ferocia e arpeggiate gentilezze, spianando coi blast beat la strada a desolanti silenzi. Non più la visceralità degli scream, l'inquietante spegnersi delle urla in cupi singhiozzi, in soffocati mugugni. Va via Niege, vanno via gli accostamenti con gli Alcest, e la creatura Lantlôs finisce per identificarsi completamente con il suo creatore e la sua mente: già compositore ed esecutore, Herbst vede adesso ricadere sulle sue spalle anche il compito di dar voce ai suoi pensieri, ai suoi tormenti, alle sue decadenti fascinazioni.
Nasce così "Melting Sun", disincantata cronaca dei postumi di un'apocalisse, sbiadita fotografia scattata a un mondo morente, spezzato. Polverizzate le certezze di natura black metal su cui s'appoggiavano saldamente i precedenti album (riscontrabili, qua e là, soltanto come un alone pallido, appena percepibile), ci si lascia andare a un post lentissimo, elegante, morbido. Solo nelle introduttive "Azure Chimes" e "Cherry Quartz" ci sarà infatti posto per residue ruvidità, tra esplosioni soffocate che richiamano le orchestrazioni degli Enslaved o distorsioni che saltano di tono in tono come potrebbe sentirsi su brani dei Tesseract. Ma è una risolutezza che ha vita ben breve, che è destinata ad essere prontamente diluita nelle code di delay - innalzate fino a tonalità acute mai raggiunte prima d'ora - di "Jade Fields", nella rilassata, dolce malinconia di una "Aquamarine Towers", nell'essenzialità degli arpeggi e dei cori di sussurri di "Golden Mind", conclusiva e dolcissima ninna-nanna, abbraccio alla notte, al termine d'ogni dolore, alla pace.
Sulle sei tracce in scaletta gli strumenti si sovrappongono in un continuo gioco di piccole dissonanze cromatiche, i contorni dei brani sbiadiscono e si fondono tra loro, la voce (imperfetta, questo sì, ma autentica, comunicativa, calda) resta sempre poco più che un suadente sussurro. Guai però a parlare di noia, di monotonia: quel che si forma è un unico, continuo flusso di coscienza, che da un'iniziale e terrena malinconia valica i confini della concretezza accompagnando fino alle calde carezze del sogno, che dagli iniziali piccoli spasmi porta a una quieta, incorporea, definitiva stasi. Non soltanto un manifesto del post metal, ma anche un'indimenticabile esperienza sensoriale. Da ascoltare. Da vivere.